Quella in corso non è la “solita” guerra tra Israele e tutto il resto del mondo islamico. Appare, piuttosto, come un conflitto che Israele sta combattendo con il temporaneo consenso di fatto sia della comunità internazionale sia dei regimi arabi-sunniti moderati contro Hezbollah e Hamas che sono filiali operative di Teheran.
Il nemico comune di Israele e dei Paesi arabi è l’Iran islamico-sciita che ha aumentato la propria aggressività minacciando non solo Israele, ma anche la stabilità del sistema arabo-sunnita. La vocazione nucleare di Teheran, per esempio, spaventa l’Arabia saudita. E, forse, tale paura deriva anche dalla sensazione che recentemente vi sia stata una convergenza tra Al Qaida e Teheran per unire sciiti e sunniti fondamentalisti in un’unico Jihad finalizzato a sostituire i regimi arabi moderati nella regione. Pertanto l’annullamento delle capacità militari di Hezbollah – e della sua influenza politica in Libano – è visto come un primo contenimento delle ambizioni iraniane e del ruolo della Siria alleata di Teheran. Ciò spiega l’anomalia più vistosa della guerra in corso: il silenzio delle piazze e dei governi arabi. Evidenza che ha reso possibile la concessione di fatto ad Israele di un mese circa di tempo per bonificare il Libano meridionale da parte della comunità internazionale. Infatti i richiami generici ad un intervento Onu, la conferenza del 26 luglio a Roma, ecc., sono atti che, in sostanza, servono ad allungare i tempi per bloccare l’iniziativa di Israele, lasciandole così uno spazio per finire il lavoro, ma evitando la sensazione che la comunità internazionale lasci senza controllo il conflitto. Tale spazio esiste anche per l’azione contro Hamas a Gaza, ma è più ristretto. Da un lato, a tutti a va bene che Hamas venga indebolita affinché non prevalga nella guerra civile palestinese. Dall’altro, un eccesso israeliano in questa area potrebbe incendiare le piazze arabe e compromettere l’anomala situazione di silenzio/assenso detta sopra. Israele ha colto il “clima” e ha ridotto l’azione contro Hamas, aumentando l’intensità di quella contro gli Hezbollah. Tale impostazione strategica definisce un perimetro piuttosto preciso al conflitto in corso. Eliminazione del gruppo terroristico Hezbollah, convincimento della Siria a non sostenerlo, liberazione del Libano dall’influenza residua iraniana-siriana, rafforzamento della sovranità libanese e convincimento del governo di Beirut a prendere il controllo del Libano meridionale. Alla fine Israele dovrebbe ottenere uno Stato normale e non un gruppo terrorista al suo confine settentrionale e gli arabi una sconfitta dell’Iran. Il consolidamento di tale impostazione pare il vero scopo delle iniziative internazionali in corso. Ovviamente in una situazione di guerra vi è sempre la possibilità che qualcosa sfugga di mano e possa incendiare lo scenario. Ma proprio per questo l’America e gli europei sono pronti a calibrare gli interventi in modo tale che Gerusalemme agisca entro argini. E sono pronti a dissuadere l’Iran dal tentare colpi a sorpresa, anche premendo sulla Siria affinché non faccia da sponda a Teheran.
Il mercato non sta scontando il rischio di grave destabilizzazione proprio perché percepisce la natura “consensuale” del conflitto in corso, almeno per il momento. Infatti il prezzo del petrolio cresce per speculazione, ma non ai ritmi e livelli che ci sarebbero in caso di percezione di una possibilità di guerra fuori controllo. Resta l’incognita della reazione di Teheran, ma non sembra abbi spazi per rovesciare lo scenario qui abbozzato.