I dati Istat certificano un’ottima crescita del Pil nel primo trimestre. Un po’ è stato l’effetto della rimbalzo in Germania, mercato principale per le esportazioni italiane, ma il più è dovuto al fatto che le aziende italiane si stanno adattando ai nuovi requisiti competitivi del mercato globale. In sintesi, l’economia italiana (Nord e Adriatico) è di nuovo trainata dall’export. Di questo fenomeno sono protagoniste le “multinazionali tascabili” ed i distretti industriali. Analizziamolo per vedere a quali condizioni potrà essere duraturo o meno.
Per i cultori della materia sarà molto utile leggere il recente rapporto sul “Made in Italy” redatto dall’Ufficio studi di Mediobanca. In esso si trova che le esportazioni italiane, dal 1996 al 2005, sono cresciute del 45%, la metà di quelle mondiali aumentate nello stesso periodo del 92%. Ma anche che nel periodo 2000 – 05 si è instaurata una tendenza di continuo aumento del nostro export. Vuol dire, in sintesi, che allo scoppio della globalizzazione alla metà degli anni ’90, vero e proprio “globobang”, le aziende italiane si sono trovate spiazzate sia perché il modello politico nazionale le caricava di costi decompetitivi e inefficienze fuori dai cancelli della fabbrica sia per problemi di efficienza e competitività dei prodotti e dei processi aziendali. Poi pian pianino le imprese sono riuscite ad autoriformarsi bilanciando il peso dovuto al fisco oppressivo, ai costi di un sistema senza concorrenza (prezzo dell’energia perfino il 50% in più dei competitori) e con infrastrutture inadeguate. Il “pian pianino” non è dovuto a lentezze intrinseche delle imprese, per loro natura o molto veloci o morte, ma a due fattori esterni sfavorevoli: la stagnazione tedesca dal 2001 al 2005 che ha ridotto l’export verso quel mercato primario per l’Italia e l’incremento del valore di cambio dell’euro sul dollaro che ha penalizzato le vendite all’estero sul piano della concorrenzialità dei prezzi. Ma, alla fine, ripartita un po’ la Germania e ridottosi negli ultimi mesi del 2005 e primi del 2006 lo svantaggio valutario, le nostre imprese hanno trovato la combinazione del compimento della loro riforma di efficienza interna e condizioni almeno non troppo sfavorevoli. Per questo il Pil è schizzato verso l’alto all’improvviso, + 0,6 nel primo trimestre, che è tantissimo. Nella storia qui sommarizzata i lettori più abituati a valutare le cose in termini politici potrebbero rilevare che non è mai esistito un declino del sistema industriale italiano e che il governo Berlusconi è stato imputato ingiustamente di esserne stato la causa. Forse non avrà fatto molto in termini di propulsione, ma certamente non ha inasprito i freni di sistema per la riforma di efficienza competitiva delle imprese. Comunque ciò è ormai cronaca passata. Ma è utile citare il “fattore politico” perché la ripresa italiana trova di fronte a se due nuovi ostacoli. Il primo è certamente il recente crollo del dollaro sull’euro che penalizzarà l’export italiano extraeuropeo e quello della Germania, facendo girare più lentamente la locomotiva tedesca. Quindi è probabile un rallentamento della crescita delle due nazioni con riverbero moltiplicato sulla nostra. Ma il problema maggiore potrebbe essere, appunto, politico. I governi non possono creare la crescita, ma hanno il potere di bloccarla. In Germania è in arrivo un aumento delle tasse che potrebbe compromettere i consumi. Se in Italia il governo di sinistra aumentasse i costi ed i vincoli per le imprese, allora la loro ritrovata efficienza competitiva sarebbe nuovamente schiacciata. Speriamo nella saggezza.