Gli analisti sono impegnati ad aggiornare le previsioni degli andamenti economici globali per il 2006 in base ai dati più aggiornati. Questi confermano quanto si era già proiettato mesi fa. L’economia americana continuerà a crescere, forse più di quanto si pensava. Quella dell’eurozona un po’ di meno, ma l’inflazione sembra essere minore di quella temuta prospetticamente – recentemente si è assestata sul 2%, in Italia 1,9 - e ciò fa pensare che la Bce non alzerà così presto il costo del denaro. Ipotesi, andando subito nelle tasche dei lettori, che dovrebbe rassenerare tutti coloro che pagano un mutuo a tasso variabile. In generale, nella nostra area di diretto interesse non si vedono grandi novità che possano modificare la tendenza stagnante, ma nemmeno tensioni che possano portare a brutte sorprese. Tuttavia, nel resto del mercato globale si notano movimenti che potrebbero portare a notevoli scossoni. Due in particolare: prezzo dell’energia e valore di cambio del dollaro.
Il sistema finanziario mondiale si regge sulla centralità del mercato statunitense e del dollaro. Tutte le nazioni del mondo fanno una parte sostanziosa del loro Pil attraverso le esportazioni verso l’America. Cina, Giappone e Corea del Sud almeno il 30%, gli europei un po’ meno, ma è quella quota che aggiunge un po’ di crescita a sistemi economici interni che tendono a stagnare. In sintesi, il mercato interno americano regge la crescita di tutti. Ma al prezzo di un enorme deficit commerciale, cioè di una sproporzione tra esportazioni e di importazioni. Tale sbilanciamento deve essere compensato finanziariamente: i dollari che escono dall’America per pagare le merci importate devono rientrare in forma di investimento finanziario. Se ciò avvenisse in misura insufficiente tutto il sistema salterebbe. Da anni si teme, infatti, che salti perché il deficit commerciale statunitense è aumentato a dismisura e ciò richiede un rientro di capitali in dollari sempre maggiore, oggi più di cinquanta miliardi al mese, che è una enormità. I limiti fissati dalla teoria sono stati superati da tempo, ma il sistema non è saltato. Anche perché le principali nazioni esportatrici hanno interesse a mantenerlo in piedi, comprando montagne di titoli di Stato ed obbligazionari in dollari. Ma c’è un limite anche per questo. La Cina ha cumulato nelle sue riserve mille miliardi di dollari e ciò può produrre altri sbilanciamenti. In sintesi, c’è la sensazione che nel 2006 il nodo venga al pettine: un crollo del dollaro – voluto o reso inevitabile - che farebbe esportare di meno le nazioni del mondo provocando una recessione globale. Anche in Europa. Ma l’effetto peggiore potrebbe riverberare sul prezzo del petrolio. Questo aumenta per la domanda crescente dei nuovi giganti industriali, Cina ed India, ed è un problema. Ma su questa tendenza potrebbe innescarsi quella di un’attesa di caduta del dollaro, con cui si denomina il prezzo del petrolio, innescando una spirale di rialzo stellare. Ed è un problema più grosso. Non si può dire ora cosa succederà. Ma è rilevante per il lettore sapere che tale scenario sarà determinato da accordi o meno tra Usa e Cina. Per esempio, se la seconda accetterà di rivalutare la propria moneta ciò ridurrà il deficit commerciale americano ed il dollaro non cadrà. Ma il punto dello scenario 2006 è che comincia ad essere evidente la migrazione del potere mondiale dall’Atlantico al Pacifico, noi europei sempre più irrilevanti. E poiché l’economia è determinata dalla geopolitica, il fatto che l’Europa conti poco rende inquieti nonostante la relativa tranquillità attuale nel nostro cortile.