I sociologi e gli economisti che ogni anno preparano il rapporto del Censis sullo stato dell’Italia adottano un metodo di analisi “caldo” che coglie e sintetizza lo spirito dei tempi meglio di quanto ci riesca la ricerca standard, “fredda”. Nel 2005 hanno rilevato che l’Italia è molto più vitale sul piano economico di quanto appaia dagli indicatori che misurano il Pil. E che le imprese “mondialeggiano” allegramente nonostante il freno di un modello politico/economico irriformato. Per certi versi è la solita storia da decenni: l’Italia veloce del privato, quella lenta del pubblico. Ma la novità di sostanza è che l’Italia non è affatto in declino come metà della stampa e della politica pretendono sia.
Le piccole imprese riescono sorprendentemente ad adattarsi con successo alla crescente concorrenzialità del mercato globale attraverso proprie invenzioni tecnologiche, organizzative e di strategia di mercato. Ci sono settori che vanno meglio ed altri peggio, ma il dato complessivo è che il sistema industriale è vitale. Alcuni esponenti della sinistra hanno reagito con irritazione a questo scenario avvertendo che comunque l’Italia è vulnerabile a causa dell’eccesso di piccola impresa incapace, per scala, di competere nel mondo. Ma i dati rilevati dal Censis, ed altri, mostrano che le microimprese riescono a superare questo problema in decine di modi, dall’integrazione via distretto al ricorso a tecnologie che aggirano i limiti dimensionali. Da qui si può ricavare un’indicazione. Il problema non è costringere le imprese a diventare più grandi secondo un modello astratto di competitività, ma permettere loro una maggiore libertà di azione e togliendo i pesi fiscali e burocratici. Non è la politica che deve dire cosa sia meglio per le imprese, ma devono essere le imprese stesse a trovare i loro sentieri competitivi specifici. E tale modello in Italia sarebbe sensato proprio per la forza inventiva degli imprenditori. Quindi la politica deve solo lasciarli volare, per le ali ci pensano loro. E’ un punto importante perché distingue tra politica che sostiene le imprese, cioè il processo di creazione della ricchezza nazionale, lasciandole più libere ed una che vuole conformarle ad uno standard, ad una gabbia, perché ritiene che da sole alla fine moriranno. La ricerca del Censis fa propendere per la prima opzione sulla base di analisi dettagliate e non di sensazioni ideologizzate. Il che porta tutti a noi a riflettere su quanto gli stereotipi che circolano nella comunicazione in materia siano adeguati. Per esempio, ci sono decine di ricerche, per altro molto tecniche e ben fatte, che mostrano come nel sistema industriale italiano la produttività sia poca, la ricerca tecnologica inesistente con la conseguenza di un ritardo di adattamento delle industrie ai modelli della nuova economia basata sulla tecnologia dell’informazione. Ma il rapporto del Censis fa sospettare che tale dato negativo sia un abbaglio. In particolare, altre indagini più settoriali mostrano che molte aziende con poca ricerca propria in realtà ne comprano tantissima in un sistema globale che ne vende sempre di più. E molte di queste costruiscono l’innovazione su tale base di ricerca acquisita. Tuttavia, questa modalità non è facilmente registrabile dalle statistiche ordinarie. E così risulta che un’azienda con zero ricerca riesce a vendere nel mondo prodotti molto innovativi. Ammetterete che c’è qualcosa che non va. E quello che non va, probabilmente, è l’anomalia del modello produttivo italiano: non si fa leggere facilmente da metodi ordinari di rilevamento. Infatti, se guardiamo più a fondo le nostre cose troviamo un’Italia sì piena di guai, ma sorprendente per vitalità.