E’ ragionevole prevedere che nel 2005 il Pil - cresciuto dello 0,7% nel secondo trimestre mentre era sceso dello 0,5 nel primo – salirà un po’ sopra lo zero. In sostanza, l’Italia resta in stagnazione, lo stesso trend che si registra dai primi anni ‘90. Con una specificazione, già fatta in un articolo precedente, che è meglio ripetere: parti dell’economia italiana vanno benissimo, altre malissimo. Il risultato statistico medio è, appunto, di stagnazione, ma il dato reale segnala un’Italia a due velocità: quella flessibile, competitiva e moderna e quella che non riesce a cambiare. Questa forma del sistema tende a spaccare in due anche i redditi. Quelli del settore privato crescono. Quelli dell’Italia intrappolata, in particolare i dipendenti pubblici e privati di grado medio e basso, oltre ai pensionati, stagnano a fronte di un’inflazione che sale. Quindi, a parere di chi scrive, c’è una priorità di breve periodo, nel disegno della politica economica, che precede quella – irrimandabile, ma necessariamente lenta - di rimuovere i blocchi strutturali che non permettono a tutta l’Italia di crescere a sufficienza: mantenere la capacità di spesa nelle famiglie dei lavoratori dipendenti sopra la soglia di “povertà percepita” e, quindi, un saldo attivo di consumo e risparmio nella classe media. Tecnicamente non è difficile. Ma sarà politicamente realizzabile?
Mediamente, una famiglia italiana dovrà spendere 1.000 euro in più nel 2005 per l’energia di trasporto, elettrica e di riscaldamento. Per parecchie di loro tale cifra implica il dover rinunciare a qualcosa non superfluo, ma percepito come essenziale, per esempio un cappotto, un telefonino, un po’ di risparmio. Poniamo che si limiti l’uso dell’auto e si riduca il consumo di elettricità in casa. Restano un 700 euro, più tutti gli altri aumenti in corso (libri scolastici, autostrade, ecc.) che comunqueriducono altri consumi e mettono l’ansia di non arrivare a fine mese. Cosa può fare il governo, a breve, per questa fascia crescente di popolazione? Inserire più concorrenza nel sistema, e pertanto una competizione generale basata sul ribasso dei prezzi, sarebbe la cosa più salutare. Ma è riforma lenta e contrastata da monopoli, oligarchie e cartelli corporativi. Quindi a breve sarebbe efficace solo il ridurre ulteriormente le tasse alle famiglie di reddito più basso e quelle sui carburanti in modo da restituire dai 900 ai 1300 euro di disponibilità (media) annua alle famiglie. Misura per altro essenziale per i redditi da pensione più bassi. Ma ciò significa ridurre di parecchi miliardi la spesa pubblica, stabilito che non si può aumentare il deficit statale già troppo alto. Questa, nel 2005, sarà di 555,7 miliardi, senza correzioni. E’ aumentata del 4,7% in relazione al 2004 e corrisponde al 40,2% del Pil. In tale enorme massa di denaro pubblico ci sono certamente decine di miliardi di sprechi o di spesa non-essenziale (Baldassarri ne ha recentemente rilevati ben 30). Che si possono tagliare trovando spazio: (a) per contenere il deficit; (b) ridurre i carichi fiscali sulle imprese per rilanciarne la competività; (c) rendere variabile il prelievo fiscale sui carburanti per congelarne il prezzo al consumo e abbassare ancora le tasse per i redditi medio-bassi. La buona notizia è che il governo ha in programma, finalmente, di tagliare selettivamente i trasferimenti agli enti locali dove è più scandaloso lo spreco. E che sta studiando seriamente la terza misura. La cattiva è che gli “sprechi”, locali e nazionali, sono in realtà strumenti di potere per i partiti e sarà difficile che questi vi rinuncino. Vedremo, comunque nessuno dica che le misure dette sono impossibili perché mancano i soldi.