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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2005-8-8L' Arena,
Giornale di Vicenza,
Brescia Oggi

2005-8-8

8/8/2005

L’Italia a due velocità

 L’economia italiana mostra nuovamente una tendenza alla crescita dopo sei mesi di recessione iniziati nell’ottobre del 2004. Così come i numeri della regressione furono piccoli, zerovirgola, quelli della ripresa sono altrettanto minuscoli. E fanno prevedere che il 2005, sommando i meno ed i più, finirà con una crescita del Pil poco sopra lo zero. La tendenza stagnante viene confermata dalla crescita quasi piatta dell’intera eurozona, rivista recentemente al ribasso dal Fmi, che, pertanto, non potrà trainare quella italiana. Nessuna novità: le economie di eurolandia non riescono ad agganciare la buona crescita del mercato globale ed i loro andamenti oscillano tra piccole recessioni e minime riprese. Ma, per l’Italia, una mezza novità c’è: se fosse stata vera la tesi “declinista” diffusa da molte fonti tecniche e politiche nei mesi passati, allora la pur piccola ripresa in atto non ci sarebbe. Ed invece c’è. Marcata da un robusto rimbalzo degli indici di produzione industriale nella primavera-estate. Segno che il sistema delle imprese è ancora vitale, ben lontano dal declino. Ma se non è declino, cosa allora ci rende stagnanti?

 Da ricerche specializzate nei singoli settori dell’economia italiana emerge un’immagine più chiara per tentare di rispondere alla domanda. Alcuni settori del nostro sistema economico sono certamente in crisi, per esempio i prodotti tessili, le calzature e tutti quegli oggetti che si trovano in concorrenza imbattibile per costo con quelli fabbricati nei Paesi emergenti. Ma le produzioni “di marchio” migliorano le loro posizioni nel mercato globale. Così come si osserva un numero crescente di successi da parte delle nostre aziende tecnologiche nello sfruttare le nuove opportunità del mercato globale. In generale, si può ipotizzare che il 30% dell’economia italiana stia andando molto male, ma circa il 70% sta andando bene o – qui una sorpresa -  molto bene, più di quanto si possa notare dall’analisi delle statistiche aggregate. E quando queste ultime mostrano l’andamento stagnante detto sopra non indicano affatto un rallentamento omogeneo di tutto il nostro sistema, ma la somma di un’Italia che va benissimo ed un’altra che va malissimo. E tale immagine corrisponde ad un’altra, pur solo parzialmente correlata, che dipinge la situazione delle famiglie. Una parte di esse ha meno reddito disponibile mentre un’altra ne ha molto di più: aumenta sia il numero di chi è più ricco sia di chi è più povero. Tra questi i dipendenti pubblici e privati a salario fisso. Mentre i professionisti, gente che lavora in settori premiati dalla globalizzazione, operatori nei servizi a salario variabile, stanno migliorando come non mai. In sintesi, mettendo insieme la prima e la seconda analisi, è in atto in Italia un fenomeno di selezione della ricchezza che sta aumentando i numeri di persone ed aziende ai poli opposti: crisi e successo, impoverimento e arricchimento. Questo vuol dire che è andato in crisi grave un pezzo del sistema, ma non il sistema. Ipotesi rasserenante perché individua un declino solo parziale, e non generale, che è certamente invertibile con politiche normali: (a) meno tasse sulle imprese e incentivi a farne di nuove o ingrandirle; (b) una diversa struttura dei salari da lavoro dipendente che lasci più soldi in mano alla gente e meno alla mediazione burocratica dello Stato; (c) più concorrenza che riduca i prezzi. Ma è inquietante il fatto che tali misure non siano state attuate. E ciò deve far riflettere su un’Italia che non riesce a cambiare quando è necessario, questa sì promessa certa di un futuro declino che ancora non c’è.

(c) 2005 Carlo Pelanda
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