Nelle prossime due settimane il governo dovrà varare il Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef) che definisce gli indirizzi di politica economica per il 2006, poi da trasformare in scelte concrete e dettagliate nella legge di bilancio (la finanziaria) che sarà all’esame del Parlamento in settembre. Il ministro dell’Economia, Siniscalco, ha annunciato - dopo la sequenza di dati negativi che mostrano come l’Italia sia in recessione da più di sei mesi – che il Dpef conterrà misure molto forti per uscire dalla stagnazione ed allo stesso tempo mantenere un certo equilibrio nei conti pubblici pur nell’ambito di un deficit che tende verso il 4% in relazione al Pil. Tale affermazione ha suscitato curiosità: cosa si potrà fare di “forte” e risolutivo in un anno che vedrà il Pil a crescita zero e a ridosso di elezioni politiche?
Poco tempo fa il governo non è riuscito a varare il provvedimento, anche se annunciato, di progressiva abolizione dell’Irap. Ha dovuto posporre il provvedimento perché non è riuscito a coprire la perdita di gettito (circa 14 miliardi) che si sarebbe avuta con la cancellazione dell’Irap. O, meglio, ha formulato un’ipotesi che toglieva la tassa detta, ma aumentando dell’1% l’Iva. Ovviamente infattibile, fu una saga con punte di ridicolo. Qui lo ricordo perché è stato un chiaro e recente indizio del fatto che il governo non abbia margini di manovra nel bilancio statale. In sintesi, non ci sono i soldi. Ora il punto è: dove li troverà per fare un Dpef forte, come dichiarato? “Forte” significa ridurre i pesi fiscali che stimolano investimenti e consumi. I soldi per coprire la detassazione ci sarebbero, in teoria. Molti calcolano che almeno 20 - 25 miliardi di denaro pubblico vengano buttati via come spesa inutile o puro spreco nelle migliaia di rivoli della spesa nazionale e locale. Ma come si potrà in pochi mesi lanciare un programma di controllo capace di reperire, per dire, dieci o quindici miliardi attraverso la riduzione diffusa degli sprechi? Tutti – a parte chi usa le auto blu, gode di consulenze date per amicizia politica o riesce a fare i comodi propri con denari pubblici il cui impiego non è sottoposto al controllo di merito, ma solo di correttezza della forma – saremmo felici se riuscisse a trovare un modo. Ma se non lo ha trovato finora, aggiungendo il fatto che in un anno elettorale “taglio di spesa” vuol dire rischiare il definanziamento del consenso, è legittimo avere qualche dubbio. A meno che non si formi nel governo un nucleo di consenso, consapevole della situazione d’emergenza economica del Paese, e metta mano alle forbici: tagliare la spesa improduttiva per lasciare più capitale ad impieghi produttivi siano essi in forma di meno tasse alle imprese e famiglie oppure di investimenti pubblici che creano volano di crescita. La buona notizia è se ciò fossepossibile di schiuma da tagliare ce ne è ancora molta. La cattiva che è piuttosto improbabile. Tuttavia, non c’è altro da fare. Anche perché il recupero dell’evasione fiscale diffusa è materia complicatissima - molti lavorano in nero per sopravvivere, senza evasione chiuderebbero – e comunque non veloce. Tali considerazioni ci portano al succo della questione: senza tagli alla spesa non ci potrà essere un Dpef almeno di tenuta. Quindi, parole politichesi a parte, il governo è di fronte alla scelta tra mantenere depressa l’economia o accettare il dissenso che certamente verrà dai tagli. Usi le forbici con coraggio.