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Carlo Pelanda: 2025-5-25La Verità

2025-5-25

25/5/2025

Bisogna cambiare il formato negoziale tra Ue ed Usa

La minaccia di Donald Trump di imporre dazi del 50% alle merci provenienti dall’Ue va valutata freddamente. Per farlo serve sia un’analisi del contesto geopolitico e geoeconomico sia del formato negoziale degli europei più adatto per trovare una convergenza con l’America a conduzione Trump, quello in atto non funziona.

Gli analisti del mio gruppo di ricerca euroamericano (Stratematica) annotano che l’America senza una convergenza con gli europei occidentali non ha la scala sufficiente per mantenere lo status di prima potenza globale sfidato dal blocco sino-russo e che gli europei senza una convergenza forte con gli Stati Uniti sarebbero troppo deboli per sostenere i loro modelli per lo più basati sull’export. Ci sono segnali da ambedue le parti di tale consapevolezza, ma non così forte da favorire un accordo strutturato e rapido. Da sempre, e non con Trump, l’America ha problemi a negoziare con l’Ue perché, pur militarmente debole, è più grande (demograficamente e per potenziale economico) dell’America stessa e quindi preferisce trattare separatamente con i singoli Stati per mantenere un rapporto di forza ad essa favorevole. Dal canto suo l’Ue ha una posizione negoziale di convergenza con l’America, ma corredata da una dissuasione che fa imbestialire l’attuale conduzione a Washington: se non ci sarà accordo l’Ue risponderà con dazi simmetrici ed autonomia strategica divergente. Pertanto c’è un’ipotesi di scenario – non ancora probabile, ma nemmeno escludibile - che Washington cerchi di frammentare l’Ue dividendo le sue nazioni tra amiche e meno per confermare la propria influenza sull’Eurasia occidentale. Per inciso, avendo insegnato negli Stati Uniti dai primi anni 80 fino al 2015 (ora lo faccio a Roma) più volte ho notato in alcuni think tank l’analisi di questa opzione, per esempio fattuale la divisione degli europei per la loro partecipazione alla guerra in Iraq nel 2002-03, Francia contraria, Germania furbescamente convergente con la Francia, ma sostanzialmente infrastruttura logistica dello sforzo statunitense, Italia e Regno Unito convergenti con Washington. Semplificando, l’America è consapevole della necessità di un avamposto nell’Eurasia occidentale, ma non necessariamente gestito via Ue e con essa. La conseguenza raccomandativa di questa breve analisi? Italia e Germania dovrebbero formare un gruppo di contatto informale bilaterale per essere i veri negoziatori con l’America, avendo un sufficiente potere entro l’Ue per indirizzarla verso un accordo. Ciò non significa disconoscere l’Ue, ma depurarla da posture divergenti dall’America. La Francia si scatenerebbe contro? L’enfasi qui sulla Germania è che Berlino può mettere la museruola alla Francia mentre Roma può controabbaiare a Parigi, e lo sta facendo, ma non ha da sola forza sufficiente per dare un indirizzo all’Ue. Pertanto è Berlino che deve prendere coraggio per evitare insieme all’Italia (ed al Regno Unito) che l’Ue diverga dall’America. Non è questione di simpatia, ma di utilità: ambedue hanno modelli economici trainati dall’export che sarebbero danneggiati da dazi americani e devono salvare il mercato integrato europeo perché ne hanno il massimo vantaggio economico. Secondo me Washington vedrebbe bene un gruppo di contatto italo/tedesco prevalente sulla Francia – pur cercando un accomodamento per evitarne il voto contrario nel Consiglio intergovernativo europeo – e sostanzialmente influente sull’Ue.

Molti criticheranno questa raccomandazione. Accetterò le critiche che sottolineano l’interesse statunitense a comprimere la Germania per il timore che porti l’Ue ad una svolta euroasiatica. Non è escludibile. Ma nemmeno probabile nella strategia della conduzione di Friedrich Merc. Quindi il governo italiano esplori e prema: questa sarebbe la vera mediazione, non quella tra Commissione europea e Usa.  Le critiche in nome dell’europeismo lirico, invece, le metto nel fascicolo del dilettantismo politico.

Può andare tutto male? Potrebbe. In tal caso il Piano B? Italia globale, come è in atto nella conduzione di Giorgia Meloni, mantenendo la duplice lealtà con America ed Ue, ma aumentando la proiezione geoeconomica globale unilaterale con vettori verso l’Indo-Pacifico e la ricerca di una centralità con metodo collaborativo nel Mediterraneo. In realtà è un Piano A da svolgere sperando in una convergenza tra Usa ed Ue e tra Italia e Germania, ma comunque fattibile anche in caso contrario spostando più convergenza sugli Stati Uniti.

Trump? Immagino che sia frustrato dal fatto che la Russia non converga perché Vladimir Putin sia fa fatica a smontare l’economia di guerra sia ha ricevuto un sostegno enorme dalla Cina. Semplificando, sente di non riuscire a comunicare sufficiente deterrenza. Infatti, la relazione con l’Iran potrebbe diventare un mezzo successo perché sta tenendo a freno un attacco di Israele ai siti nucleari iraniani, cioè si avvale della deterrenza israeliana di cui Teheran ha veramente paura. In generale, Trump sta mostrando una forza non sufficiente all’esterno ed una politica economica controproducente all’interno. Fa fatica a cambiare strategie, ma dovrà. Pertanto stimo che sia il momento giusto per negoziare con l’America non esibendo volontà dissuasive, ma mostrando atteggiamenti accomodanti che permettano a Trump di mostrare qualche successo e agli alleati di salvare la stabilità del mercato internazionale. Cosa vuol dire, in soldoni, per il lato europeo? Modificare una serie di regole limitative delle importazioni statunitensi per favorire un certo riequilibrio commerciale tra Ue ed Usa. I dazi americani? Se limitati al 10% possono essere gestiti, ma anche ridotti se l’Ue prendesse una postura meno accondiscendente con la Cina. Aggiornamenti.

(c) 2025 Carlo Pelanda
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