Nella turbolenza mondiale in corso l’interesse nazionale prioritario dell’Italia è quello di mantenere elevato l’export del Made in Italy, classificazione da estendere ai prodotti industriali. Il maggior rischio è che una reazione conflittuale dell’Ue (che ha competenza esclusiva per le relazioni economiche esterne come conseguenza della formazione di un mercato unico europeo) ai dazi statunitensi provochi una guerra commerciale che innalzi le barriere reciproche oltre la soglia di adattamento delle nostre imprese, mentre i dazi al 20% sono gestibili pur non una buona notizia. Pertanto è realistico e razionale che il governo italiano eserciti una pressione moderatrice nei confronti dell’Ue. Inoltre è realistico e razionale che l’Italia prema l’Ue per l’abbattimento di barriere commerciali esplicite ed implicite entro il mercato unico europeo per rendere più fluidi gli scambi interni e in tal modo ampliare il potenziale dell’export italiano entro un’area di circa 450 milioni di consumatori. Poi va considerato che è interesse di Italia ed altri europei che l’Ue sigli trattati di libero scambio, cioè depurati da dazi e barriere, con il Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay ed Uruguay, sperando nella disponibilità anche del Cile), ne esplori uno con il Messico e con le nazioni dell’Asia centrale. L’analisi degli effetti di questo tipo di trattati dell’Ue con Giappone e Canada mostra che hanno prodotto un forte impulso per le produzioni italiane. L’accordo con il Mercosur c’è già in forma iniziale, ma è rallentato dall’opposizione del sistema agricolo europeo: si tratta di trovare un’evoluzione graduale dell’accordo e compensazioni. Apprendimento utile per il formato dell’accordo tra Ue ed India in lavorazione. Ma l’Italia ha anche interesse prioritario nell’aumentare a livello globale i partenariati strategici bilaterali che di fatto spingono le relazioni commerciali (sono facoltà nazionali entro il regime europeo) nonché alcuni accordi multilaterali, per esempio l’Imec, cioè la creazione di una infrastruttura di connessione rapida (navi e ferrovia) tra Indo-Pacifico e Mediterraneo via penisola arabica (vitale per i porti di Trieste e Genova). In sintesi, l’Italia ha interesse ad avere una posizione di influenza nell’Ue, ma combinata con il sostegno degli Stati Uniti sia per mantenere relazioni positive sia, soprattutto, per avere un moltiplicatore di forza per i partenariati strategici bilaterali in Africa e nel Pacifico. Oltre che con l’india e gli Emirati, con cui è già stato siglato un accordo, penso ad Australia, Nuova Zelanda, Indonesia, ecc. Pertanto la posizione di Georgia Meloni di duplice lealtà ad America ed Europa è quella giusta per l’economia italiana mentre la critica da sinistra che la spinge ad essere più europea non appare ben pensata così come quella che la spingerebbe verso una frizione con l’Ue. Da un lato, non sarà facile in questo periodo mantenere la posizione di duplice lealtà. Dall’altro, è la posizione giusta.
E tale posizione è anche giusta perché da sempre l’Italia ha trovato barriere di diverso tipo nella diarchia franco-tedesca, che pur meno coesa ha il dominio dell’Ue, ed ha compensato tale situazione di scomoda terza forza europea attraverso una relazione bilaterale privilegiata con l’America. Riuscirà Meloni a mantenerla? In parte dipende dalla postura del nuovo governo tedesco a guida democristiana che entrerà in carica tra qualche settimana in coalizione con i socialdemocratici. La sensazione preliminare è che Berlino abbia i medesimi interessi dell’Italia, per cui l’attesa di una convergenza bilaterale sarebbe giustificata, ma ha più forza condizionante di Roma nei confronti dell’Ue e sta subendo un danno maggiore dai dazi imposti dall’America a conduzione Trump. Pertanto non è escluso che la Germania sia tentata di prendere una posizione di Europa autonoma in divergenza forte con l’America. Va detto che il partenariato strategico bilaterale abbozzato con il Regno Unito potrebbe moderare Berlino. Comunque sarebbe importante un bilaterale continuo, non necessariamente formale, tra Italia e Germania e tra Roma e Londra. Nel secondo è centrale l’accordo per il caccia di sesta generazione Gcap, insieme al Giappone: sarebbe utile un’estensione di tale accordo ad altri sistemi tecnologici. Ma va annotato il recente accordo economico tra Cina, Corea del Sud e Giappone dove Seul e Tokyo hanno accettato il corteggiamento della Cina per bilanciare i dazi statunitensi. Le alleanze stanno traballando. Per evitare crolli, Roma ha un certo ruolo, pur non enorme, per far ragionare in modi più convergenti gli alleati del G7 e l’America. E’ una mia speranza ed una personale raccomandazione basate sul fatto che se l’America declassasse il G7 e non spingesse per allargarlo ad altre nazioni compatibili, allora difficilmente potrebbe sperare di mantenere lo status di potenza globale e di riuscire a contenere le ambizioni espansive della Cina. Molti colleghi mi avvertono che Donald Trump non pensa in questo modo (mantenere l’alleanza delle democrazie) perché punta ad una potenza americana unilaterale dove gli alleati paghino la fornitura di sicurezza. Ma io ritengo che non destabilizzerà oltre misura l’alleanza delle democrazie, pur cercando un ribilanciamento dei flussi dare/avere, perché il danno maggiore sarebbe per l’America. La Francia? A Parigi c’è eccitazione per la possibilità che la divergenza con l’America permetta la rigenerazione di un impero europeo a guida francese: ma Londra, Berlino e Roma stanno inviando segnali, pur in modi diversi, che sarebbe utile un calmante. In sintesi, lo scenario balla, ma non necessariamente crollerà. Aggiornamenti finalizzati a rilevare l’evoluzione di un’Italia globale: i venti, gli oceani.