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Carlo Pelanda: 2025-4-27La Verità

2025-4-27

27/4/2025

I passi geopolitici per la ricostruzione della fiducia economica

Dopo la paura di una depressione globale i mercati stanno scontando uno scenario migliore perché annotano una tendenza negoziale pragmatica da parte dell’America in materia di dazi. Non ancora al punto di riprendere investimenti basati sull’ottimismo perché permane una forte incertezza. Per consolidare l’ottimismo e fiducia sarà importante la ri-convergenza e riequilibrio tra America e resto del mondo. Come?

Nelle riunioni on line del mio think tank euroamericano i ricercatori si sono divisi tra quelli che ritengono la correzione della strategia aggressiva di Donald Trump dovuta all’evidenza di un danno maggiore per l’economia statunitense ed il dollaro e chi ritiene che la strategia trumpiana sia giusta per favorire un negoziato con le nazioni esportatrici per bilanciare i flussi commerciali. Sono dovuto intervenire per evitare che la contrapposizione ideologica facesse perdere di vista il punto concreto dello scenario: dobbiamo capire che l’America ha veramente bisogno di un ribilanciamento dei flussi commerciali, di una riduzione del debito e di un rischieramento delle risorse militari perché non può più attuare da sola un presidio e traino economico globale. La prova è che dal 2013 l’Amministrazione Obama ha tentato un riequilibrio dei flussi commerciali via trattati con nazioni alleate e compatibili nel Pacifico (Tpp) e con l’Ue (Ttip), escludendo Cina e Russia. La successiva Amministrazione Trump ha eliminato questo approccio tentando una prima strategia via dazi selettivi e puntando la dissuasione riequilibrante contro la Cina. Poi l’Amministrazione Biden ha continuato in parte la strategia trumpiana, ma ricorrendo ad un’enorme spesa pubblica a debito per favorire il ritorno dell’industrie in America (reshoring) per invertire la deindustrializzazione dovuta all’eccesso di concorrenza esterna sul mercato interno. Falliti tutti questi tentativi, la seconda Amministrazione Trump ha deciso di usare un metodo più duro. L’evidenza è che tutte le recenti Amministrazioni statunitensi, sia democratiche sia repubblicane, abbiano tentato un riequilibrio delle relazioni tra America e mondo perché l’America non ce la faceva più, non riuscendoci. Un’altra evidenza è che il voto degli impoveriti o di chi teme l’impoverimento si è spostato verso l’offerta americanista di Trump, modificando la natura del Partito repubblicano: ora in questo prevale la corrente rivendicativa su quella liberista tradizionale. Pertanto che Trump sia buono, cattivo o strano è un dato secondario. Quello primario è che l’America deve riequilibrare le relazioni con il mondo per evitare una spaccatura più profonda tra ricchi più ricchi e poveri crescenti ed evitare di farsi intrappolare in guerre multiple erosive. Quindi tocca agli alleati che dal lontano 1973 in poi rifiutano (proposta iniziale di Henry Kissinger) la condivisione di responsabilità economiche e militari assumersene di più per mantenere solidi l’alleanza delle democrazie ed il mercato globale. Ho avuto la soddisfazione di riportare il gruppo di ricerca alla realtà, ma nella tensione di un’analisi difficile.  

La fiducia dei mercati sarà ripristinata da una riconvergenza tra America ed europei con conseguenze di consolidamento del G7. Mancherà quella almeno parziale con la Cina? Pechino sta scommettendo su una divergenza tra America ed Ue per togliere potenza globale all’America stessa ed impostare una convergenza con l’Ue nonché su un accordo economico con Giappone e Corea del Sud confidando sulla loro percepita inaffidabilità dell’America a conduzione Trump. Un mio ricercatore americano, ma di origine asiatica, mi ha lasciato un appunto dove ipotizza che il recente attacco nel Kashmir di presunti islamisti provenienti dal Pakistan sia stato sollecitato in modi riservati da Pechino per ottenere un conflitto indo-pakistano – ambedue hanno forze nucleari – con lo scopo poi di agire come mediatore per sostituire il potere statunitense nella regione. Non ho mezzi per controllare tale ipotesi, ma mi è rimasto nella memoria il sospetto che la Cina abbia sollecitato una parte del (non tutto) regime iraniano a scatenare l’attacco di Hamas contro Israele per sabotare la convergenza indo-europea-araba-israeliana-americana. Poi potrebbe esserci una strategia, sempre riservata, cinese di moltiplicazione dei conflitti in cui ingaggiare il potere militare statunitense per eroderlo.  In sintesi, la politica dichiarativa cinese di contrasto simmetrico all’America potrebbe essere sostenuta da azioni sfidanti non facili da contenere. Washington ha inserito nel negoziato con la Russia molti temi diversi dal congelamento del conflitto in Ucraina con lo scopo di convincere Mosca a ridurre la convergenza con Pechino. Ha avviato un negoziato con l’Iran frenando la strategia israeliana di distruggere preventivamente il potenziale nucleare iraniano. Ma la Cina sta aumentando il sostegno all’Iran. Questi dati ed ipotesi tra cui andrebbero inserite alcune azioni cinesi molto silenziose in Africa e Sudamerica, fanno intendere una priorità americana per calmare il mondo e così ridurre il costo di presidio statunitense. Su questo punto sarebbe di sollievo per l’America la convergenza degli europei perché costringerebbe la Cina a ridurre la divergenza e negoziare. In sintesi, il consolidamento della fiducia nei mercati richiede una convergenza euroamericana che sia magnete per altri alleati e motivo di calcolo per la Cina che le è più conveniente accettare un negoziato serio di riequilibrio commerciale con l’America. Non serve una convergenza totale, ma una tutela del mercato globale corretto da riequilibri dei flussi. L’Italia? Aumenti la sua azione già forte per una riconvergenza euroamericana.

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