Le cronache della fine settimana scorsa hanno riportato la visita dei rappresentati dell’agenzia di valutazione Moody’s al presidente del Consiglio, accompagnati dal ministro dell’Economia. Moody’s, come Finch, Standard & Poors, ecc. sono società indipendenti con la missione di valutare la credibilità delle emissioni finanziarie, governative e private. A ciascuna di queste danno un voto a seguito di controlli periodici. Tale voto, o “rating”, è importantissimo perché diventa il termine di riferimento con cui gli investitori decidono se comprare o meno un titolo, se tenerlo in portafoglio o venderlo. In sintesi, il voto dato da queste agenzie private di valutazione influenza il prezzo di un titolo. In particolare, determina il costo degli interessi ed il valore di mercato di un debito pubblico. E ciò rende l’opinione di tali valutatori assolutamente fondamentale per capire lo spazio di deficit annuo che ha un governo con debito monumentale come quello italiano. Il punto: la politica economica per il 2005 – 2006 va tenuta entro i limiti di buona valutazione da parte delle agenzie di rating perché, in caso contrario, l’aumento del costo sul piano degli interessi darebbe uno svantaggio dieci volte superiore al beneficio di usare un po’ più di deficit per ridurre le tasse e finanziare con altri incentivi la nostra economia in crisi competitiva.
Non si sa cosa si siano detti Siniscalco, Berlusconi ed i tecnici di Moody’s nella riunione citata, ma lo si può inferire dalla dichiarazione successiva del ministro dell’Economia: qualsiasi manovra deve essere fatta entro la copertura delle risorse che ci sono. Per esempio, Berlusconi sembrava disposto nei giorni scorso a tagliare in un solo colpo l’Irap, o buona parte di questa terribile e disincentivante tassa sulle imprese, con una rinuncia di ben 12 miliardi di gettito. Ma Siniscalco ha dichiarato che il taglio andrà spalmato nel tempo, due o tre anni, per ridurre l’impatto sul deficit annuo. Cosa che va bene, utile, ma non sufficiente per la stimolazione economica che sarebbe necessaria nel breve periodo. Pertanto, probabilmente, Siniscalco ha voluto che Berlusconi sentisse direttamente dai valutatori quali parametri vengono usati per mantenere o ridurre il voto relativo alla credibilità del debito allo scopo di convincerlo di rispettarli. Sconcertati? Alcuni lettori potrebbero esserlo perché abituati al limite di deficit imposto dalle regole europee. In realtà gli europarametri sono molto meno importanti del rating (voto) deciso dai valutatori privati perché il secondo ha un impatto immediato mentre i primi, di fatto, sono solo numeri senza conseguenze sostanziali. Ciò vuol dire che l’Italia deve stare entro il 3 o 3,5% di deficit annuo non tanto perché l’Unione europea glielo lo impone, ma perché se andasse oltre pagherebbe un’enormità in termini di aumento di costo del debito. La cui credibilità dipende dal fatto che scenda o salga più che dall’entità assoluta. Se si ricorre molto al deficit senza tagli strutturali alla spesa corrente qualsiasi valutatore privato dovrà segnalare che il debito avrà una più alta probabilità diaumentare nel futuro e che tale rischio deve essere bilanciato da un premio che si traduce in maggiore costo per lo Stato. Tale spiegazione fa capire quale sia il vero parametro entro cui bisogna tenere l’equilibrio della finanza pubblica. E’ una brutta notizia? Se non si taglierà spesa corrente o non si riuscirà a far scendere il debito nonostante l’aumento del deficit annuo – per esempio vendendo patrimonio pubblico in maggiori qunatità - certamente sì. Perché impedirebbe manovre forti necessarie ad invertire una tendenza economica negativa. Questo è il punto, il resto chiacchera.