L’espressione di Georgia Meloni “Fare di nuovo grande l’Occidente” come invito negoziale a Donald Trump, che non lo ha rifiutato, a connettere in modo integrativo il suo “Fare l’America di nuovo grande” apre uno scenario di convergenza euroamericana che accende la speranza strategica di poter costruire gradualmente un mercato integrato del G7 ed un G7 +. Tale architettura, che vorrei definire Nova Pax, diventerebbe il nuovo e forte pilastro della fiducia economica sul piano globale.
Il primo passo verso questa direzione storica richiede sia il riconoscimento da parte dell’America che ha bisogno degli alleati sia la disponibilità di europei e Giappone a comprendere che l’America stessa ha un bisogno oggettivo di ribilanciare i flussi commerciali con il mondo e di ridurre l’ingaggio militare ottenendo che gli alleati stessi spendano di più per la sicurezza regionale e globale. Trump non dirà mai apertamente che l’America ha bisogno degli alleati, ma gli atti recenti della sua amministrazione mostrano che sta cercando questa via. Europei e Giappone stanno esibendo una iniziale disponibilità a convergere con l’America verso un accordo precursore di un eventuale trattato di libero scambio con dazi e barriere commerciali decrescenti. L’Ue ha già un tale trattato con dazi quasi azzerati e barriere non tariffarie ridotte con Giappone e Canada ed ambedue queste nazioni hanno un trattato economico con Washington, pur temporaneamente sospeso quello di libero scambio con il Canada. Il Regno Unito sta preparando un accordo di libero scambio con l’Ue, ma senza rinunciare alla relazione privilegiata con Washington. Pertanto si tratta di riparare e raffinare una struttura di accordi già esistente e non di inventarne una del tutto nuova. L’azione di Meloni ha aperto una strada negoziale tra questi attori nazionali diversa da quella in corso fino a qualche giorno fa. Il Giappone, per darsi forza deterrente nella trattativa con l’America ha siglato un pre-accordo con Corea del Sud e Cina con simbolismo di forte convergenza. L’Ue ha comunicato l’intenzione di controdazi pesanti qualora l’America confermasse quelli contro l’Ue stessa. Meloni, invece, con l’espressione detta in apertura, ha indicato una strada non di confronto tra deterrenze, ma di convergenza bilanciata entro un unico sistema di interessi: l’alleanza tra democrazie. Al netto di preferenze ideologiche le va detto brava.
Personalmente la ringrazio perché la sua posizione mi ha aiutato a pacificare il mio gruppo di ricerca euroamericano dove statunitensi ed europei stavano iniziando a litigare. Ora convergono nello studio di un’architettura geopolitica e geoeconomica che offra vantaggi sia economici sia di sicurezza alle nazioni del G7 e loro alleati, nonché Paesi compatibili. Il risultato è l’avvio di una ricerca sulla compattazione del G7 e sua espansione G7 +. I capitoli preliminari dell’analisi sono: Nato globale, formula negoziale graduale (funzionalista) con obiettivo un mercato integrato prospettico del G7 + nuove inclusioni e “metamoneta” basata su un accordo di cambio tra dollaro americano e canadese, euro, sterlina e yen: il “credit”. Quest’ultimo è essenziale, pur in una ipotesi di scenario pluridecennale, per rendere solide e stabili le reti di scambio commerciale. Troppa fantasia? Ai ricercatori viene richiesta per inventare soluzioni ed innovazioni. Comunque la fantasia non appare troppa perché si tratta di disegnare un passo evolutivo di una struttura già esistente, come detto, e non del tutto nuova. Ovviamente non vengono nascosti i problemi. Per esempio: divergenza della Francia perché da sempre persegue la strategia di dominio dell’Europa come moltiplicatore della sua piccola forza nazionale e probabilmente teme un progetto euroamericano dove sarebbe inferiore; tendenza dell’America a non accettare condizionamenti della sua sovranità; difficoltà tecniche degli europei a ridurre il protezionismo in alcuni settori, in particolare quelle regole ambientali che sono barriere non tariffarie per l’import. Ecc. Ma ci sono soluzioni tecniche non troppo difficili. Resta però un grande problema sul lato europeo: i trattati economici su cui è competente l’Ue sono proposti dalla Commissione, ma approvati dal Consiglio intergovernativo e prima sottoposti al consenso dei Parlamenti nazionali, in alcuni casi anche di Regioni subnazionali. Tale architettura complessa e rigida impedisce il metodo funzionalista per fare accordi passo dopo passo. Qui gli europei dovrebbero diventare molto innovativi. Un altro problema per gli europei ed alleati asiatici è la priorità degli Stati Uniti di contenere e, penso, condizionare l’espansione globale della Cina. Da un lato, è moneta di scambio di europei, giapponesi ed altri alleati per ottenere convergenza con l’America. Dall’altro, la Germania ha una dipendenza dal mercato cinese che, pur discendente, è ancora forte e la Francia vuole mantenere una relazione con la Cina per rendere l’Ue un blocco indipendente tra America e Cina, i due di fatto in guerra economica, ma motivo non secondario del perché l’America ha bisogno di alleati. Grande problema, ma ci sono soluzioni.
Per realizzare queste soluzioni va annotata una novità: l’Italia sta passando da una rilevanza internazionale passiva dal 1945 in poi ad una attiva. Il fastidio di Parigi è tangibile, quello di Berlino non è escludibile pur nella cointeressenza a tutelare l’export. Il problema è che i due possono influire sull’Ue per condizionare l’Italia. Roma cercherà i migliori compromessi diplomatici. Ma serve un programma sistemico di riordinamento dell’Italia, oltre alla sua proiezione globale, per renderla meno vulnerabile ad eurocompressioni.