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Carlo Pelanda: 2025-3-23La Verità

2025-3-23

23/3/2025

La rivoluzione tecnologica impone nuovi strumenti di potere cognitivo diffuso

Nel mondo c’è una rivoluzione tecnologica. Sono secoli che ce ne sono continuamente? Sì, ma la discontinuità di quella in atto è molto forte ed ha un elevato potenziale selettivo, negativo o positivo, sulla competitività economica: questa va super-innovata inserendo nelle priorità nazionali un progetto di potere cognitivo diffuso socialmente.

Primo punto. Stiamo entrando in un’età definibile come “cibernazione”, cioè di una interazione sempre più intima tra menti umane ed artificiali. Le seconde stanno evolvendo più velocemente delle prime, generando un rischio di neo-analfabetismo, e povertà per gap conoscitivo, a danno di chi non sa interagire con o usare l’intelligenza artificiale e dintorni. Secondo, ci sono nuovi problemi che impongono nuove soluzioni tecnologiche: l’adattamento al rischio climatico, l’invecchiamento di infrastrutture e strutture che ne richiede di nuove o rifacimenti, la mobilità delle carriere aziendali in relazione all’evoluzione della concorrenza, la domanda crescente di benessere economico e medico, la sicurezza civile e militare, ecc. Terzo, la specificità del modello economico italiano è l’elevato numero di piccole imprese che producono un’enorme varietà merceologica, rilevabile nei numeri del suo export globale: l’Italia è prima o seconda nel mondo per tale varietà produttiva. La logica standard sarebbe quella di ingrandire le imprese. Ma riuscire a farlo per migliaia di piccole aziende tra cui molte artigiane in tempi utili per evitare la loro crisi in relazione ad una concorrenza mondiale più forte per scala (e quindi per capitale di investimento) ha bassa probabilità, pur possibile per un certo numero di loro. Ma solo con questo metodo c’è un rischio di deindustrializzazione. Pertanto va cercato un ingrandimento delle piccole e micro-imprese non solo o tanto sul piano della loro scala, ma via qualificazione tecnologica delle stesse. Cioè l’adozione di tecnologie che permette alle piccole di fare grandi cose nel mercato mondiale (e maggiori profitti).  C’è una risposta all’emergente domanda di qualificazione competitiva per il sistema italiano?

C’è: a) potenziare i politecnici esistenti e crearne di nuovi dotandoli della terza missione, dove la prima è l’insegnamento, la seconda la ricerca e la terza è il servizio al territorio; b) togliere qualsiasi barriera tra imprese ed università favorendone l’interazione; c) creare una concorrenza tra università, passo che implica l’abolizione dei concorsi nazionali per docenti e ricercatori universitari sostituendoli con selezioni fatte dai singoli dipartimenti delle università stesse costretti dalla concorrenza a scegliere talenti veri, forse anche abolendo il valore legale della laurea che  è un’anticaglia; d) qualificare meglio i Dottorati di ricerca – terzo livello di laurea dopo quella basica ed il successivo master – portandoli allo standard più elevato nel mondo; e) creare programmi di super-attrazione per docenti e discenti da tutto il globo.

La terza missione? Unire la ricerca della massima avanguardia scientifica mondiale con il servizio al territorio. Esempi: un Comune vuole fare la mappa elettronica aggiornabile via immagini satellitari con ampia capacità di raccogliere molteplici dati del suo territorio. Oppure una associazione di agricoltori vuole un monitoraggio continuo biochimico e climatico di un dato territorio con specificità che richiedono approfondimenti dei monitoraggi generali ed una famiglia specializzata di sensori, tra cui la sicurezza idrogeologica. Un’azienda artigiana di 7 persone ha individuato un sistema di stampanti di oggetti fisici, ma ha bisogno di laboratori più evoluti per sperimentarli ed eventualmente creare le certificazioni brevettuali. Un’altra di 10 persone ha bisogno di rendere globale il suo marketing non più solo via fiere. Un’altra ancora un po’ più grande ha bisogno di robotizzare i mezzi che produce. Una start up (esempio reale) in chirurgia robotica scopre che il suo robochirurgo sarebbe perfetto per le missioni spaziali, lunari e verso Marte: deve migrare in America per trovare capitali e laboratori di sperimentazione e certificazione, come ora è prassi per parecchie start up innovative (vedi Rapporto Draghi)? Non dovrebbe per la tutela della ricchezza nazionale. E potrebbe restare in Italia entro un programma di relazione con un politecnico evoluto che è anche in relazione con fondi di Venture Capital, attirando quelli più grossi o americani o altri. Il punto finanziario principale è che l’aumento della varietà e scala dei luoghi del potere cognitivo tende ad attrarre capitali dal mondo amplificando la qualificazione che poi è riversabile sul territorio entro la terza missione (finanza circolare).

Questa vitalità favorirebbe poi la formazione continua di massa via programmi dedicati o telematici o in presenza o misti: non solo dire, ma mostrare concretamente alla gente che studiare continuamente porta soldi. Ed eccitazione, una vita mobile.

Realistico? Vedo che il governo sta iniziando a muoversi verso questa direzione con limiti però di bilancio e forse di inerzia delle abitudini di un tempo precedente la rivoluzione in atto. Ma segnalo che lo scenario detto, pur solo un cenno, è attrattivo per il capitale di investimento privato: creazione o espansione di politecnici. L’enfasi sulla terza missione sarebbe certamente un volano stimolativo per capitali sostenuti da associazioni industriali, agricole e dintorni nonché fondazioni. L’enfasi sulla qualificazione continua dei lavoratori dovrebbe essere interesse dei sindacati. In conclusione: se hai un problema la tecnologia è la soluzione, ma sostenuta da una robusta formazione filosofica e di scienze sociali. In sintesi: futurizzazione.  

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