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Carlo Pelanda: 2025-2-22La Verità

2025-2-22

22/2/2025

Rischio de-industralizzazione se l’Ue non abolisce le regole ostili allo sviluppo

Dal mio punto di osservazione, che sul piano micro è la finanza di investimento e sul livello macro è l’analisi dei flussi (geo)economici globali, devo annotare che lo scenario preparato alcuni anni fa con i miei ricercatori sul rischio di deindustralizzazione europea per ostacolo delle sue regole allo sviluppo, in particolare quelle verdi, si sta attualizzando. Per evitarlo, non penso che la soluzione di Mario Draghi, pur basata su un’analisi realistica che merita rispetto tecnico, di ricorrere ad un maxidebito comune per rilanciare la competitività europea possa funzionare, a parte pochissimi settori, sul piano sistemico. Ipotizzo, invece, in base a dati correnti e probabilità future che la chiave sia una deregolamentazione. Entro questa soluzione c’è ne è poi una di “Italia globale” che sia mantenga l’export in Europa, requisito per rendere più fluido il mercato unico (qui concordo con Draghi) sia non si faccia limitare troppo da vincoli europei (qui sono contrario ad una confederazione europea che vada oltre i requisiti del mercato unico fluido). Semplificando, Roma deve spingere per togliere tutte le regole Ue che ostacolano sia l’importazione di capitali di investimento sia l’esportazione di beni nel mondo.

Dati di contingenza. Da un paio di mesi osservo i seguenti fenomeni: a) un numero crescente di piccole-medie imprese che valuta un piano di migrazione negli Stati Uniti perché i vincoli europei, in particolare verdi, le rendono decompetitive nel globo; b) altre imprese vulnerabili ai costi energetici (in Italia circa il 30% in più degli altri europei e quasi il doppio di concorrenti americani) stanno preparando piani di ristrutturazione riduttiva; c) nelle oltre mille start up tecnologiche con progetti futurizzanti di massima competitività potenziale c’è una tendenza ad esplorare la migrazione in America per ottenere capitale di investimento che in Italia – pur terzo al mondo il suo volume di risparmio – non trovano; d) l’industria dell’auto e componentistica ha un tipo di crisi risolvibile solo con l’abolizione di limitazioni verdi e relative multe. Ci sono anche aziende che vanno bene e va annotato il successo del ministero delle imprese (Mimit) nel risolvere con ammirevole competenza le crisi aziendali, per lo più attraendo flussi di investimento esteri. Ma comparando i più e i meno, i secondi mostrano la tendenza a prevalere indicando un destino di pur lento declino industriale in Italia. Roma ne è consapevole e per questo ha spinto come non mai i partenariati strategici con molteplici nazioni extra Ue: un ombrello geopolitico per spingere il nostro export globale, con metodo di vantaggio reciproco. Ottimo e promettente. Ma i vincoli europei pesano e ciò fa temere che se non verranno ridotti l’ambiente economico europeo soffrirà una spinta deindustrializzante che colpirà anche l’Italia pur questa cercando una sua via autonoma di presenza commerciale globale.

Un lettore potrebbe sbottare: se così, molliamo l’Europa. Ma la risposta razionale è che non possiamo: siamo incastrati sul piano monetario e dell’eccesso di debito, vulnerabilità attraverso la quale passano ricatti, e comunque gran parte del nostro export è diretto verso nazioni europee. Oltre al progetto di Italia globale siamo costretti a forzare l’Ue perché tolga più limitazioni possibili allo sviluppo. C’è un primo e rilevante fronte su cui intervenire? Tanti, ma nelle contingenze va meglio capita la svolta statunitense in materia di reciprocità commerciale, recentemente formalizzata da Donald Trump, che non è stata recepita come opportunità dal più dei vertici europei: io America ti metto dazi e barriere simmetrici a quelli che tu mi metti. L’Ue ha barriere interne notevoli, ma anche esterne, particolarmente su temi ambientali, agricoli, ecc. Sarebbe opportuno creare un gruppo di contatto per negoziare in dettaglio un progetto di aperure simmetriche tra Ue ed America come precursore di un Trattato di libero scambio. Un problema europeo è che tale tipo di trattati non è evolutivo. Dovrebbe esserlo: cioè iniziare da poche cose per poi svilupparne altre. Ma ora non è così. Ed è strano perché la Comunità europea prima del 1992, quando si trasformò in Unione, fece passi integrativi importanti e consensuali con il metodo “funzionalista” che prevedeva un processo evolutivo degli accordi. Questa è una soluzione forte nel bilaterale con l’America, ma ora non contemplata dall’Ue, a parte contatti riservati preliminari. Potrebbe Roma spingere questo progetto di simmetria commerciale? Realisticamente avrebbe bisogno della convergenza con la Germania che sicuramente ha il medesimo interesse. Ma dobbiamo aspettare le elezioni tedesche e la successiva coalizione per capire quale pacchetto negoziale possa essere costruito. La Commissione? La Bce? Certamente non vogliono un conflitto economico con l’America, ma non stanno spingendo sul serio per deregolamentare, in particolare togliendo le barriere che ostacolano i flussi euroamericani. Il punto: se si riesce a trovare un modo per annullare le barriere commerciali europee esterne (e interne) poi si ottiene un risultato che evita i dazi statunitensi. E se si facesse così vi sarebbe una spinta entro il G7 per integrare un ciclo di capitale comune. Trump? Per lui sarebbe un successo, ma sarebbe altrettanto per gli alleati. 

Oltre che liberista sono econegazionista? No, sono ecofuturizzante: se si accelera il nuovo mini nucleare, senza emissioni, oltre a ridurre i costi energetici, si ottiene poi una decarbonizzazione accelerata che rende inutile forzare troppo i tempi via ecodivieti. E così si avrebbe una armonizzazione tra sostenibilità ambientale ed economica mentre ora le due sono inutilmente divergenti, in Europa.

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