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Carlo Pelanda: 2025-2-2La Verità

2025-2-2

2/2/2025

C’è una soluzione migliore dello Stato palestinese

Lo scenario che qui propongo ha bassa probabilità di realizzazione, ma alta probabilità di chiudere definitivamente il conflitto israelo-palestinese. Pertanto non posso rinunciare all’analisi della soluzione di cedere i territori abitati dai palestinesi ad Egitto (Gaza) e Giordania (parte della Cisgiordania) piuttosto che perseguire la creazione di uno Stato palestinese.

Al momento questa soluzione è stata rifiutata esplicitamente da Egitto e Giordania nonché Arabia. Le loro motivazioni sono comprensibili. La Giordania, nel settembre 1970, ha espulso migliaia di palestinesi che progettavano la conquista del regno hascemita. Nel 1994 Amman ha siglato un trattato di pace con Israele che di fatto ha lasciato la Cisgiordania (conquistata da Israele nel 1967) nelle mani di Tel Aviv, anche perché ci fu un riconoscimento internazionale dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina). In sintesi, la Giordania ha voluto staccarsi dall’area cisgiordana, pur inserendo nella famiglia reale una sposa di grande rilevanza nel mondo palestinese, per propria analisi di sicurezza. L’Egitto teme l’inclusione di un milione e mezzo di gazawi influenzati da organizzazioni jihadiste o comunque filo-iraniane avendo già il problema di non riuscire a bonificare il Sinai dalla presenza dell’Isis ed altri simili. L’Arabia saudita teme l’accusa di tradimento da parte del mondo islamico se si avvicina troppo ad Israele e la soluzione dei due Stati, uno pienamente sovrano palestinese accanto a quello israeliano, appare una soluzione per evitarlo. Ma che Stato sarebbe? Si prenda la mappa e si troverà una Cisgiordania piena di insediamenti di coloni israeliani ed una Gaza distrutta. Ho chiesto ad un mio ricercatore di origine palestinese di parlare con i suoi parenti cittadini di Israele e di chiedere loro se migrerebbero nel nuovo Stato palestinese, nonché di pregarli di fare la stessa domanda ad altri nel vicinato. La risposta maggioritaria è stata: pur spesso scomoda, la cittadinanza in Israele per un credente islamico offre garanzie (democratiche e di lavoro) improbabili sotto una sovranità palestinese. Altre fonti hanno segnalato presenze importanti ed inquietanti nel territorio amministrato dall’Autorità palestinese di varie organizzazioni aderenti al progetto di sterminio degli ebrei. Infatti l’Autorità ha ordinato alla propria milizia di stanare ed eliminare tale tipo di soggetti, in collaborazione con le truppe israeliane impegnate nella bonifica, per mostrare di essere pronta a gestire uno Stato non aggressivo. Ma le analisi dei tecnici mostrano che la forza e la volontà dell’Autorità hanno un gap di credibilità. Combinando la posizione del governo israeliano che vuole disperatamente evitare la creazione di uno Stato ostile a ridosso dei propri confini – e se arrivasse una maggioranza diversa, stando ai sondaggi, tale posizione non cambierebbe – mi sembra realistico esplorare soluzioni alternative a quella dei due Stati.

Si pensi ad Israele: la conquista della statualità palestinese grazie ad un’azione di sterminio di ebrei nell’ottobre 2023 sarebbe rassicurante per Tel Aviv? No. Basterebbero le garanzie fornite ad Israele da un gruppo di contatto con presenza prevalente delle democrazie? No: come fa Israele a fidarsi dopo l’evidenza di una mobilitazione antisraeliana ed antisemita in queste. Come fa a fidarsi, eventualmente, della Corte di giustizia internazionale e dell’Onu dopo imputazioni frettolose e quasi il silenzio sui cittadini israeliani uccisi e fatti prigionieri? Lasciamo stare simpatie o antipatie e valutiamo il punto realistico: ha senso tenere inquieta una potenza militare, anche nucleare, come Israele umiliandola imponendo la vittoria dell’azione armata di Hamas che ha prodotto la statualizzazione dei palestinesi residui? In sintesi, c’è il rischio di una seconda guerra più incendiaria e di spostare il consenso israeliano verso offerte estremiste.

Per il momento il linguaggio dei due Stati può restare perché incentiva l’Autorità palestinese ad (aiutare a) eliminare terroristi e mantiene l’Arabia su una traiettoria di convergenza. Ma tra qualche mese bisognerà prendere decisioni. Nell’intertempo negoziale andrebbero esplorati incentivi per Egitto e Giordania combinati con rassicurazioni per Israele, il tutto entro l’ombrello di una convergenza strategica tra Stati Uniti ed Arabia. Ne faccio solo un cenno per non rischiare di bruciare qualche idea. Una proiezione egiziana su Gaza, con il sostegno israeliano, potrebbe mettere fine ad Hamas e Jihad islamica. Incentivi? Tanti. Uno citabile è che Gaza ha un diritto potenziale di sfruttamento di enormi giacimenti di gas nei fondali marini antistanti, trasferibili all’Egitto se prendesse la responsabilità amministrativa sul territorio pur non integrandolo nella sovranità diretta. Più difficile, ma pensabile, è la cessione di territorio israeliano cisgiordano alla Giordania, ridisegnandolo. Ovviamente con incentivi. Il costo di questi che comprende una ricostruzione di Gaza oppure una migrazione dei gazawi verso una nuova città da costruire in una zona speciale un po’ più ad occidente in territorio egiziano (desertico costiero) dovrebbe essere condiviso tra le nazioni che hanno siglato l’accordo Imec, cioè la connessione infrastrutturale tra India e Mediterraneo via penisola arabica e sbocco ferroviario nel porto israeliano di Haifa, tra cui Stati Uniti, Arabia, India, Emirati ed Italia. Il vantaggio di aprire questa linea, sabotata da Iran e forse Cina, coprirebbe abbondantemente i costi di incentivo per lo scenario detto e quelli per dare un territorio vivibile ed aperto allo sviluppo ai palestinesi e meno nemici ad Israele. Se così, l’Indo - Mediterraneo? Nuova Ekumene. L’imbocco del Mar Rosso verso Suez? Messo in sicurezza.

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