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Carlo Pelanda: 2025-1-19La Verità

2025-1-19

19/1/2025

Per un triangolo stabilizzante America, Italia, Israele

Gli Stati Uniti hanno sempre difeso Israele, ma non l’hanno mai lasciata vincere “veramente” mentre poteva farlo contro gli Stati islamici che minacciavano la sua sicurezza. Va considerata la variazione spontanea della strategia israeliana che nei decenni è passata da una postura di ricerca bellicista della sicurezza ad una negoziale con il mondo arabo sunnita, per esempio l’accordo “territorio per pace” con l’Egitto. Ma per l’analisi futura dello scenario medio-orientale prevale la posizione pluridecennale dell’America che protegge Gerusalemme, ma ponendole limiti.

L’accordo di tregua tra Israele ed Hamas a Gaza in tre fasi che scatta oggi domenica, attivando la prima, è stato imposto da Washington per la priorità di Joe Biden di mostrare un risultato pacificante senza approfondire aspetti importanti dell’accordo stesso per la seconda e terza fase. Donald Trump ha sostenuto la linea Biden, lasciando ipotizzare che la sua amministrazione perseguirà con pressioni forti sulle parti questo schema di tregua. Il governo israeliano ha dovuto cedere alla pressione statunitense perché non può permettersi di rifiutarla. Inoltre, va considerato che il fondamento di Israele come Stato è quello di proteggere qualsia ebreo nel mondo oltre a quelli che vivono nei suoi confini: quindi ha pesato anche la volontà interna di salvarne il più possibile dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Hamas, oltre all’uccisione di centinaia di civili – secondo Olocausto - ha preso ostaggi convinta di poter ridurre così la reazione bellica di Israele. Gerusalemme ha dovuto violare la priorità della tutela dei cittadini di Israele per evitare via dissuasione casi simili futuri ed ha perseguito un attacco totale ad Hamas con il fine di eliminare totalmente tale organizzazione. Ma non ha potuto e voluto violare totalmente il primo comandamento dello Stato di Israele accettando la mediazione per salvare più ostaggi possibile. Tuttavia, dando in cambio salvacondotti ad alcuni jhadisti – mostrando prima che poteva ucciderli tutti - non maggiori concessioni. Ha anche dovuto scegliere di non farsi bloccare dal metodo degli scudi umani utilizzato da Hamas, sapendo che sarebbe stata demonizzata dal mondo con pregiudizio anti-ebraico, per mostrare a memoria futura dei palestinesi, Hezbollah e Houthi, nonché iraniani ed altri, che non funzionava come scudo contro la Spada di David. L’accordo di tregua che scatta oggi era da molti mesi in stallo perché Israele temeva un ammorbidimento della deterrenza e Hamas aveva paura di perdere l’ultimo punto di forza che le restava, cioè il potere di ricatto via ostaggi. Ora l’imposizione da parte statunitense di un accordo preciso nella prima fase, ma impreciso nella seconda e terza tende a favorire il residuo di Hamas e ad impedire a Gerusalemme di compiere l’operazione dissuasiva fino in fondo, fatto destabilizzante per l’attuale governo israeliano. Gerusalemme sta prendendo un rischio accettando il tipo di tregua imposto: sarà compensato da un’azione stabilizzatrice sostanziale da parte americana?

Ritengo che la seconda Amministrazione Trump abbia come priorità, per motivi di indebolimento del Sud globale e della Cina, la creazione di una relazione stabile e convergente tra Arabia saudita ed America che implica un accordo tra la prima ed Israele, come fece nel 2019 con gli Accordi di Abramo tra Emirati – via consenso nascosto saudita - ed Israele stessa. Ciò implica, però, che i sauditi debbano mostrare una capacità di tutela per gli islamici nei dintorni di Israele per non perdere la guida del mondo islamico sunnita attraverso la creazione di uno Stato palestinese. Hanno già dichiarato questa condizione. Per Israele è un problema perché l’esito pacificante della forma statuale della Palestina dipende dalla possibilità di una conduzione non condizionata da formazioni estreme, scenario incerto. Infatti l’Autorità palestinese ha da qualche tempo ordinato alla sua milizia di attaccare le diverse formazioni jihadiste alberganti nel suo territorio, ma la forza di tale Autorità è insufficiente. In teoria sarebbe meglio che la Giordania si prendesse una parte della Cisgiordania ed accettasse, con contributo finanziario internazionale, una migrazione dei palestinesi lì residenti, lasciando ad Israele la parte più densa di insediamenti ebraici. Ma Amman non vuole troppi palestinesi in casa propria (ne ha già massacrati tanti ai tempi del “Settembre nero”). E l’Egitto non vuole Gaza per lo stesso motivo, pur avendo la striscia potenziali diritti su enormi giacimenti di gas nel fondo marino prospiciente. Per tale motivo alcune nazioni sono disposte a mandare truppe di pace per rendere inoffensiva Gaza. Ma se si vota a Gaza c’è il rischio che vinca una seconda Hamas, con altro nome, ed Israele potrebbe trovarsi un nemico peggiore, tutelato dal diritto internazionale. Pertanto, la tregua a Gaza ha uno scenario aperto e lontano dall’essere chiuso.

Si potrà chiuderlo? Sì, con un doppio scambio: a) l’America deve soddisfare almeno alcune richieste dell’Arabia; b) Israele è un potere nucleare già ben armato ed una convergenza con l’Arabia contro l’aggressività iraniana – ripotenziata dal recente accordo con Mosca che ha un’appendice riservata inquietante – sarà possibile, correlabile con l’accordo tra Arabia ed Usa. L’Italia? Ha interesse al collegamento tra India e Mediterraneo via penisola arabica (oltre che via Mar Rosso) ed al crollo del muro del Mediterraneo stesso tra coste Sud, Nord ed Est. Va bene che offra truppe di pace a Gaza, sviluppi partenariati sistemici con Egitto, Algeria ed altri, ma dovrebbe coordinarsi di più con l’America ed Israele, formando un triangolo di contatto, Pitagoras Horizon.

www.carlopelanda.com                              

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