Alcuni lettori, anche sollecitati dall’ottimo articolo di ieri firmato da Claudio Antonelli in materia di crisi prolungata dell’industria manifatturiera italiana, mi hanno scritto chiedendo uno scenario di possibili soluzioni per l’Italia. Ci sto lavorando con lo scopo di dare un contributo consultivo al team del Ministero delle imprese (Mimit) che sta preparando il Libro bianco, cioè di strategia, sulla politica industriale italiana con orizzonte 2030. Qui semplificherò la mia analisi del tema come opinione privata senza alcun riferimento all’attività istituzionale di chi sta preparando il Libro bianco.
I lettori scriventi hanno marcato gli scenari che rendono probabili 2-3 anni di stagnazione, cioè di crescita del Pil attorno all’1%, ed hanno chiesto se siano possibili prestazioni migliori. Va considerato che il governo attuale sta riparando il disastro economico prodotto da un decennio di governi di sinistra o comunque stralunati – i Conte 1 e 2 – in un periodo dove il mondo sta cambiando sul piano geopolitico, geoeconomico e tecnologico. Inoltre l’Ue è in fase di debolezza e sconta un periodo precedente di irrealismo non ancora corretto e la Bce mostra una gestione della politica monetaria inadeguata pur in via di riparazione. Pertanto è una buona notizia che il governo corrente abbia avuto successo, per esempio facilitando l’aumento dell’occupazione e un primo passo verso la detassazione dei redditi più bassi, nel limitare gli impatti negativi sia dovuti ad errori dei governi precedenti sia al cambio di mondo e ad una posizione non adattiva dell’Ue e tecnicamente discutibile della Bce. Ma il destino di stagnazione è una tendenza che certamente il governo sta tentando invertire.
Miei suggerimenti.
Primo. In generale, va data priorità all’aumento dell’export a livello globale sia per compensare una possibile ripresa non rapida di quello intraeuropeo sia, soprattutto, per una moltiplicazione sostanziale. Bisogna considerare che il commercio internazionale è cambiato. Nel periodo della globalizzazione un privato poteva andare nel mondo anche senza sostegno governativo e di trattati. Ora siamo in una fase di deglobalizzazione conflittuale – pur relativa e non assoluta – e di Seconda Guerra fredda tra democrazie e regimi autoritari con più di cinquanta conflitti locali in corso nel pianeta. Non è probabile un conflitto diretto tra America e Cina, ma è probabile una frizione forte tra le due per la conquista del Sud globale, proprio l’area di espansione geoeconomica dell’Italia: Africa, Sudamerica ed alcune zone del Pacifico, compresa la via verso l’Indo – Pacifico che implica una presenza nel Mediterraneo profondo sia verso la penisola arabica sia verso il Mar Rosso, nel secondo caso eliminando l’interferenza dei proxy iraniani nello Yemen (Houthi) che limita gli accessi via Suez. In questo contesto le aziende italiane possono muoversi con sicurezza solo sotto l’ombrello di trattati economici. Quindi bisogna spingere l’Ue a farne di più (e meglio) come quelli con Giappone e Canada dove l’export italiano ha mostrato un forte vantaggio comparato. Ma la vera spinta sarà data dai partenariati strategici bilaterali sotto la soglia di relazioni commerciali delegate all’Ue, ma di fatto impulso all’export italiano in un clima collaborativo con singole nazioni. Già il governo si muove con tale logica, consapevole che queste relazioni hanno bisogno di almeno un consenso Ue e di una convergenza strategica con l’America. Ciò implica una duplica lealtà italiana all’America ed all’Ue, ma più importante è consolidare la prima. Questa strategia va ampliata per portare il Pil italiano medio del prossimo futuro oltre il 2% annuo. Cosa perfezionare? La correlazione tra politica industriale ed estera.
Secondo. Le regole ambientali europee sono depressive. Il mio gruppo di ricerca ha rilevato che la creazione di una rete diffusa di piccole centrali nucleari a sicurezza intrinseca darebbe un plus sia di energia pulita sia a costi minori. In tale scenario si potrebbe rallentare di molto la pressione decarbonizzante – che esiste solo nell’Ue – perché poi con l’entrata del nuovo nucleare la decarbonizzazione sarebbe molto rapida. Questa è la via giusta per armonizzare sostenibilità ambientale ed economica, evitando che la prima distrugga la seconda come sta succedendo. La via? Le regole Ue non vietano l’accelerazione del nuovo nucleare, anzi, e pertanto questa è una scelta nazionale prioritaria nel medio periodo. Il governo la sta impostando, ma va accelerata.
Terzo. Il debito pubblico italiano impedisce allo Stato di investire decine di miliardi anno per la qualificazione competitiva del sistema. I titoli di Stato tolgono capitale ai fondi privati di investimento. Il problema non ha soluzioni rapide, ma può averle nell’arco di 10-15 anni con un effetto positivo delle aspettative future sul ciclo di investimenti nel presente. Come? Operazione “patrimonio contro debito” sui 250 – 300 miliardi (ce ne sono 600-700 di patrimonio disponibile) che a sua volta è motivo per attrarre più capitale estero di investimento, flusso da governare, ma necessario nel breve e medio termine per riparare l’Italia.
Quarto. Piccolo non è bello. Per ingrandire le migliori piccole imprese italiane e dare loro un potenziale internazionale maggiore bisogna facilitare la loro quotazione in Borsa, il modo più sano per unire finanza e attività produttiva. La mia analisi vede circa 1.500 piccole e medie imprese tecnologiche pronte per la quotazione e 2.300 start up con potenziale. Invito a valutare la creazione di un Nasdaq (Borsa tecnologica) italiano collegato con quello americano.
Altro nel mio libro “Italia globale” (Rubbettino, 2023).