C’è ovviamente molta attenzione sulle elezioni presidenziali e di parte del Congresso negli Stati Uniti del 5 novembre. Ma ho chiesto alla parte statunitense del mio gruppo di ricerca di analizzare più a fondo le sfide che l’America dovrà affrontare nel prossimo futuro, ipotizzando che destra o sinistra non potranno agire in modi troppo diversi, con lo scopo di collegare tale analisi a cosa dovranno fare le nazioni europee.
Tale ipotesi si è basata sulla sostanziale continuità, dal 2013, depurandola dai dettagli, della politica estera statunitense (e parzialmente quella economica) nelle amministrazioni Obama, Trump e Biden. Da cui ho ricavato, appunto, un’ipotesi continuista - almeno sul piano macro - della prossima amministrazione.
Qualcuno, a ragione, potrebbe dire che l’Amministrazione Trump è stata discontinua con quella Obama perché ritirò l’America dal già siglato Trattato Tpp (mercato amerocentrico nel Pacifico) e lasciato morire il Ttip (mercato euroamericano integrato) nonché pressato l’Ue, la Germania in particolare. Ma il segretario di Stato Mike Pompeo - con il sostegno della burocrazia imperiale bipartisan, penso - corresse tale impostazione americanista ricostruendo la relazione euroamericana e quella con il G7 nonché dando due nuove missioni alla Nato, cioè space e cyber. Inoltre nel 2017 Donald Trump rese esplicita l’ostilità verso la Cina in continuità con Barack Obama che aveva concepito Tpp e Ttip per, silenziosamente, escludere e contrastare Pechino e Mosca. Per l’analisi macrosistemica ciò è indizio di continuità metapartitica.
Da quando? Giovane studente, incontrai Henry Kissinger nel 1973 in un think tank a Washington quando stava elaborando la dottrina della transizione dalla gestione singola statunitense del pianeta a una collettiva (Library Group), forse origine del G5 poi G7. Mi spiegò che il presidio mondiale eccedeva le capacità americane di sostenerlo e che servivano partner oltre che per dividere Cina e Unione Sovietica per depotenziare la seconda, nemico principale del tempo.
Oggi il problema di gap americano è più grave perché l’America, pur superpotenza, non ha più la forza per gestire fronti multipli e dovrà concentrarsi su quelli del Pacifico e dell’Artico per costruire una dissuasione verso Cina e Russia utile a un equilibrio di potere tra blocchi. In questo scenario l’Ue non potrà più usare senza costi l’ombrello statunitense di sicurezza e dovrà rinforzarne uno proprio. Autonomo? Non c’è la scala e quindi dovrà essere interno alla Nato e con una pressione (già visibile) della Nato stessa a interfacciarsi con le alleanze compatibili del Pacifico.
In sintesi, l’Ue dovrà diventare più estroversa, in particolare verso Africa e Sudamerica, e investire di più in sicurezza. Trump o Harris faranno la differenza per importanti dettagli, ma è improbabile sul piano della macrotendenza. Trattato economico euroamericano? Penso sia più produttivo impostare la strutturazione economica e finanziaria di un G7 in espansione.