Il vero beneficio della moneta unica sarebbe quello di trainare una crescente integrazione del mercato europeo fino a farlo diventare un sistema unico con le stesse leggi e regole. La teoria economica più robusta mostra che il solo allargarsi di un mercato comporta più ricchezza potenziale complessiva perché aumenta il volume degli scambi e la circolazione della ricchezza. Ma anche che il passaggio da un mercato nazionale chiuso ad uno aperto è molto delicato perché mette a contatto soggetti forti e deboli, i secondi a rischio di sparire per minore competitività. Alla fine del processo di integrazione c’è un’alta probabilità che vi sia più ricchezza per tutti, ma nel mentre vi può essere uno squilibrio che porterebbe ad una rivolta contro il sistema europeo da parte delle nazioni e popolazioni che si sentono a rischio. In sintesi, la formazione di un mercato unico europeo deve bilanciare le pressioni alla crescente integrazione con delle politiche di tutela nazionali e settoriali che evitino impatti troppo violenti. Ciò porta i governi a dover svolgere un compito molto difficile: aprire il proprio mercato nazionale dove i vantaggi siano superiori ai problemi e mantenerlo tutelato nei casi e settori dove l’apertura troppo veloce comporta dei danni a settori industriali e/o aree territoriali. Nel 1985, quando gli allora 12 membri della Comunità Europea (poi Unione dal 1993) firmarono l’Atto unico, a Milano, c’era la sensazione di poter governare in modo calibrato la progressiva formazione di un “mercato unico europeo”. Ma oggi la realtà appare ben diversa: sono molte di più le protezioni nazionali che le aperture. E la tendenza futura non sta andando verso le seconde, ma perfino verso un aumento delle prime. Per esempio, il recente rifiuto della Francia di accettare la liberalizzazione intraeuropea del mercato dei servizi per tutelare il proprio settore nazionale. In generale, è in atto un processo di rinazionalizzazione del sistema europeo che raggiunse un picco di integrazione potenziale semifederalista nel 1999 quando fu varato l’euro.
Qual è la novità legata al fenomeno della rinazionalizzazione? Che un governo o autorità nazionale che regola un settore economico non può più decidere le aperture/chiusure del mercato in base ad una previsione di futura maggiore integrazione europea per tutti, ma deve valutarle in termini di interesse nazionale potenzialmente in conflitto con altri. Con questo schema di lettura si può capire meglio almeno una parte della resistenza generata dalla Banca d’Italia nei confronti della volontà della banca olandese ABN Amro e della spagnola BBVA di acquisire mediante Opa (offerta di di acquisto totale delle azioni), rispettivamente, la Banca Antonveneta e la Bnl. L’autorità italiana, infatti, deve tutelare nazionalmente la reciprocità: una banca basata in un Paese x potrà comprarne una da noi solo se siamo sicuri che una italiana potrà (tentare di fare) lo stesso. Altrimenti vi sarebbe uno svantaggio per il sistema bancario nazionale. Nel caso specifico sono ben altre, e francamente discutibili, le ragioni protezionistiche che inducono la Banca d’Italia ed il suo potere di vigilanza ad alzare barriere. Ma il punto è che il nuovo clima di rinazionalizzazione favorisce gli atteggiamenti di chiusura. Chi scrive è a favore del libero fluire del mercato: se spagnoli ed olandesi vogliono mettere tanti soldi per una banca italiana ben vengano,anche perché questi denari dovranno farli fruttare comportandosi bene da noi. Ma se non siamo sicuri che una banca italiana possa fare lo stesso in Spagna, Olanda ed altrove gli argomenti della tutela nazionale prevalgono realisticamente su quelli del libero mercato. Purtroppo.