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Carlo Pelanda: 2024-8-25La Verità

2024-8-25

25/8/2024

Verso la ripresa dell’ottimismo economico

Finalmente Jerome Powell, presidente della Banca centrale statunitense (Fed), ha dichiarato che i rischi di recessione sono maggiori di quelli di inflazione e che pertanto la Fed inizierà il taglio dei tassi. Ma ha mantenuto l’ambiguità sul quando e quanto, alludendo ad un avvio dei tagli stessi nella prossima riunione del Comitato di politica monetaria a metà settembre, tuttavia alla condizione che i dati più recenti confermino questa linea. Valutiamo questa posizione in relazione alla Bce.

Concordo con il Prof. Donato Masciandaro, Università Bocconi, che nei suoi articoli mostra dubbi sulla qualità gestionale degli attuali banchieri centrali sia americano sia europeo: invece di definire una linea precisa di politica monetaria si nascondono dietro la necessità di inseguire i dati economici dimenticando che hanno il potere di influenzarli. Ma con rischi reputazionali in un periodo storico caratterizzato da turbolenze che li porta ad una prudenza eccessiva che poi si trasforma in incertezza nel mercato. A tale critica aggiungo un dato rilevato dal mio gruppo di ricerca. La Fed appare decidere la politica monetaria con un ritardo di circa 4 mesi in base alle tendenze reali, la Bce con uno di quasi 6. Ciò fa ipotizzare che la passività dei gestori della politica monetaria porti a ritardi di intervento che penalizzano il ciclo economico. Per esempio, uno scenario proiettivo del marzo scorso fatto dalla sezione americana dei miei ricercatori con l’aiuto di strumenti di Intelligenza artificiale per aumentare il numero dei fattori da inserire nella matrice di calcolo – stavamo sperimentando una nuova metodologia probabilistica – aveva individuato una tendenza recessiva in America che imponeva una correzione della politica monetaria già ad aprile o maggio. Forse arriverà a settembre. Quanta gente ha perso il lavoro per questo ritardo? Al riguardo della Bce non servono nuove tecno-metodologie per vedere un ritardo di intervento: è sufficiente osservare la prevalenza dell’idealismo monetario di scuola tedesca – meglio la disoccupazione che un bit di inflazione - combinato con una presidente della Bce che finora non ha mostrato di essere adatta a questo mestiere. Per nostra fortuna la Bundesbank sta segnalando che poiché la Germania è quasi recessiva è ora di tagliare i tassi per stimolare il credito e gli investimenti espansivi. Vediamo se Isabel Schnabel, rappresentante tedesco nel direttivo Bce, dirà a Christine Lagarde: taglia, veloce, ragazza. Avendo recentemente l’ottimo Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia, auspicato un rapido taglio dei tassi è probabile ci sia un allineamento con il rappresentante italiano nel direttivo della Bce, il rimarchevole Piero Cipollone.  Ulteriore nostra fortuna è il fatto che nello statuto della Fed c’è la doppia missione di difesa contro l’inflazione e di tutela dell’occupazione. Pertanto, pur in ritardo, poi la Fed deve intervenire quando i dati mostrano una tendenza da correggere. Ma la Bce ha la sola missione di difesa contro l’inflazione e ciò le permette di perseguire una politica restrittiva non condizionata dal suo statuto, generando dubbi.

Va detto che ci sono motivi per non esagerare la critica a Powell e Lagarde. Il principale è che il mondo sta cambiando rendendo obsoleti i metodi di governo tecnico consolidati nel mondo precedente. Le democrazie fino agli anni 90 con circa 2/3 di ricchi (con capacità di risparmio) e 1/3 di poveri (senza) ora stanno mostrando una tendenza all’aumento dei poveri stessi ed alla riduzione della classe media. L’impero americano ed il dollaro restano superpotenze, ma vengono sfidate da poteri emergenti ostili. L’Europa, che non aveva costi per la sua sicurezza ed era libera di praticare il mercantilismo nel mondo perché la globalizzazione era omogenea grazie all’ombrello statunitense, ora ha nuovi costi e deve rinnovare (Germania ed Italia) i propri modelli trainati dall’export azzoppati da sanzioni e nuovi confini geopolitici, che segnano una tendenza alla de-globalizzazione, pur relativa, nonché da concorrenza brutale, per esempio quella cinese. In sintesi, il cambio di mondo in atto provoca un conflitto tra politica fiscale delle nazioni che devono ricorrere a più debito per l’aumento delle necessità assistenziali di vario tipo e politica monetaria che, giustamente, deve contenerlo anche per la conseguenza inflazionistica di inserire troppa spesa pubblica nel sistema. Detto altrimenti, il mestiere di banchiere centrale è diventato difficilissimo così come quello di ministro dell’Economia in tutte le democrazie. Tuttavia, il sistema delle democrazie è ancora riparabile.

Tale considerazione porta l’attenzione su cosa farà la Bce a seguito della decisione della Fed di avviare il taglio dei tassi. Secondo me dovrebbe ridurli con più velocità della Fed per contrastare una stagnazione che di fatto, anche se non nella metrica istituzionale, è già una recessione per parte dell’Eurozona, con maggior rischio per l’economia italiana dove l’inflazione è da tempo già sotto il 2% e la produzione dell’industria manifatturiera mostra segnali negativi, temporaneamente compensati da un buon andamento del settore dei servizi. Ma il motore della ricchezza è l’industria che fabbrica cose: c’è bisogno di investimenti aumentabili via riduzione del costo del credito. Poi va ridotto il costo dei mutui che sta aumentando l’impoverimento del ceto meno abbiente. Nonché il costo del debito pubblico. Se poi il governo italiano riuscisse a confermare un taglio delle tasse, il mercato percepirebbe l’avvio di una riparazione pur in tempi turbolenti, aumentando la fiducia. E la difesa della fiducia è una priorità assoluta sia per la politica monetaria sia per quella fiscale. Ottimismo pur con dita incrociate.  

(c) 2024 Carlo Pelanda
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