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Carlo Pelanda: 2024-7-28La Verità

2024-7-28

28/7/2024

E’ un buon momento per espandere la già forte proiezione italiana in Africa

Va data più attenzione al progetto italiano per l’Africa da parte di imprese ed investitori privati. E il governo, che ha mobilizzato da poco notevoli risorse per la proiezione africana, dovrebbe aumentare le misure di finanza agevolata e garanzie assicurative per queste. Più altre cose.

Mi permetta il lettore di ricordare un concetto strategico che ho sviluppato nel libro Italia globale (Rubbettino, novembre 2023). Il modello economico italiano è trainato dall’export (40% circa del Pil se si calcola l’effetto indiretto). La perdita del mercato russo, la riduzione dei flussi in quello europeo per lo stesso motivo più quello di una maggiore difficoltà nelle relazioni economiche con la Cina sia per le sanzioni sia per l’implosione del sistema economico cinese, costringono l’Italia a trovare nuovi spazi di proiezione commerciale per le sue aziende nel Mediterraneo costiero e profondo, in particolare verso l’Africa, nonché nel Pacifico. Ma la Cina? Pechino è in crisi economica interna che, come emerso nell’ultimo Plenum del Partito comunista, mostra di non saper risolvere. Inoltre, Roma ha un interesse maggiore nel convergere con l’America che ha avrà una strategia di compressione della Cina, vinca Donald Trump o Kamala Harris nel prossimo novembre. Per inciso, ha fatto bene Roma a cercare di rattoppare le relazioni con Pechino dopo l’abbandono della Via della Seta, ma da questo atto non verrà più spinta per l’export, pur sperando sia di poterlo mantenere  sia di bilanciare un eccesso di importazioni dalla Cina. Quindi è più rilevante la proiezione italiana verso il Pacifico non cinesizzato, che è in atto: India e Giappone in primis con cui Roma ha siglato partenariati strategici veri (e non finti come quello italo-cinese del 2004). Semplificando, l’Italia deve essere presente con forza politica in tre geocerchi: Europa, Mediterraneo costiero e profondo connesso con l’Indo-pacifico ed il globo. Cioè reagire alla deglobalizzazione conflittuale (che limita il mercantilismo) con una riglobalizzazione selettiva entro una convergenza con il G7. In quanto media potenza, per riuscirci ha bisogno di alleanze. Quelle in Europa sono in fase di definizione, in uno scenario che si chiarirà solo dopo le elezioni nazionali in Germania, considerando la Francia sempre ostile alla politica di espansione italiana. L’alleanza con l’America resterà solida, ma il dettaglio importante di quanto sarà moltiplicatrice per la geoeconomia priettiva dell’Italia sarà definibile solo nei primi mesi del 2025. Ma in questa analisi emerge che non c’è, al momento, una forte concorrenza tra alleati per una proiezione in Africa: quindi l’Italia potrà muoversi per un periodo non breve nel continente nero con forze proprie e lì prendere posizione forte utile per futuri sviluppi dello scenario globale.

Un lettore potrebbe reagire dicendo che il Piano Mattei per l’Africa ha lo scopo principale di limitare l’immigrazione clandestina. Certamente lo ha, ma evolvendo sta diventando un progetto di collaborazione con circa dieci Paesi africani – estendibile ad almeno venti in tempi non lunghi - che aggiunge alla limitazione dell’immigrazione clandestina via più opportunità di lavoro in loco o di immigrazione controllata in Italia un profilo di export ed investimenti esteri con elevato ritorno finanziario. Il tutto con relazioni collaborative non coloniali (come quelle della Francia ormai espulsa dai suoi dominii africani) o di sfruttamento brutale (come quelle cinesi) o peggio (come le relazioni instaurate dall’Africa Korp russo erede della Wagner). Il punto: l’approccio collaborativo e non neocoloniale o di sfruttamento si basa sull’osservazione che in molte nazioni africane c’è un’evoluzione qualitativa notevole che contrasta con lo stereotipo del povero “bongo” bisognoso di eterodirezione. Va detto che i primi ad usare un approccio rispettoso con gli africani subsahariani furono i cinesi, in particolare dal 2007 in poi, ma con precursori dal lontano 1955. Solo che tale rispetto si è concretizzato come scambio impari e svantaggioso per gli africani: risorse naturali a basso costo e voto all’Onu in cambio da parte cinese di armi per le dittature e soldi (ma a debito) nonché infrastrutture (ma con manodopera cinese). Infatti il potere cinese in Africa è cedente. Quindi c’è più spazio per l’Italia per instaurare relazioni equilibrate e chiaramente vantaggiose per tutte le parti. Un primo segnale che la diplomazia italiana e le sue aziende fossero in grado di azioni estere ambiziose venne dalla velocità con cui il governo Draghi (pilotato dall’Eni) sostituì il gas russo con quello algerino, dell’Africa meridionale e di altri nell’Asia centrale e nel Golfo. Il governo Meloni ha colto il potenziale e lo ha espanso con un Piano Mattei, ma che sta diventando progetto Africa con caratteristiche molto più ambiziose. Tale sensazione è basata sulla cifra messa a disposizione, circa 5 miliardi di investimenti e facilitazioni sia Simest sia Sace per le imprese italiane. Bene. Ma mi permetto di suggerire ulteriori facilitazioni: a) inserire il sistema bancario italiano negli accordi bilaterali con nazioni africane; b) facilitare la formazione di consorzi di piccole imprese italiane per progetti in Africa con dentro un attore pubblico, sia esso Simest o un fondo italiano dedicato di CdP con la guida strategica del nucleo dedicato formato a Palazzo Chigi; c) incentivare con sconto fiscale investimenti di aziende private in Africa; d) creare una base per la Marina e l’Aeronautica italiana sia nel Mar Rosso sia a metà della costa africana atlantica, una delle due anche basi per lanci spaziali. Ambedue aperte ad alleati africani e del G7 quando sarà possibile selezionarli.

(c) 2024 Carlo Pelanda
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