Dall’econegazionismo e dall’ecoillusionismo dovremmo passare all’ecorealismo: il clima sta cambiando e ciò rende vulnerabile al mutamento gli insediamenti umani adattati alla situazione climatica precedente, ma non a quella nuova. Se un evento eccede le protezioni, provocando un disastro, è perché non c’è stata prevenzione e/o adattamento preventivo. L’ecorealismo mette in priorità la riduzione della vulnerabilità ambientale dal punto di vista antropico. L’econegazionismo sottovaluta un fatto oggettivo: da tempo la temperatura media del pianeta sta aumentando (dati Nasa). Da centinaia di milioni di anni le temperature oscillano per diversi fattori: ora è in atto una di queste oscillazioni. L’ecoillusionismo promuove due concetti irrealistici: a) la decarbonizzazione è sufficiente per ridurre l’aumento delle temperature; b) bisogna salvare la natura senza interventi tecnologici che ne aumentino difese e capacità adattiva. Il primo punto è illusorio perché, sul piano globale, le nazioni emergenti e quelle petrolifere/carbonifere non hanno alcuna intenzione, e lo hanno dichiarato, di accelerare la decarbonizzazione mettendo a rischio il loro sviluppo economico: anche se fosse sufficiente – e gli stessi che la propongono hanno seri dubbi sulla sua realizzazione in tempi utili - i dati di realtà geopolitica indicano un ritardo di questa soluzione a problemi distruttivi già nel presente. Dobbiamo deideologizzare l’ecopolitica.
Per esempio. Un’ondata ti porta via la casa, il tuo campo si è desertificato lo scorso anno e in questo è stato sommerso da un’alluvione, tuo figlio si è preso una malattia tropicale inabilitante, tuo padre è morto per il caldo eccessivo, l’acqua salina (per aumento del livello del mare) è entrata nella foce del fiume riducendone la produttività basica, ecc., ma il Prof. Verde ti dice di avere fiducia sulla decarbonizzazione che avrà effetti forse tra un secolo. Ed aggiunge che sarebbe pericoloso puntare sull’energia nucleare al punto da convincerti a pagare di più quella solare o eolica. Tu balbetti un “ma qui è tutto un disastro…” e l’altro ti risponde: “tranquillo, noi salviamo il pianeta”.
Il punto b) indica un’impressionante strettezza mentale: rifiuto di toccare la natura per renderla più forte/adattativa via interventi tecnologici in base ad una sorta di divinizzazione neopagana della stessa e all’illusione che la natura abbia un’intelligenza propria. Questi errori analitici e culturali stanno tardando la prevenzione contro danni. E’ ora di abbandonarli e di passare, appunto, all’ecorealismo. Un nome per la nuova ecomissione? Ecologia artificiale, cioè dobbiamo ridisegnare la relazione sistema umano/ambiente per ridurre la vulnerabilità del primo alla variabilità del secondo.
Tale incipit, pur generale, individua subito un bersaglio politico specifico, in cronaca: non possiamo permettere che l’ideologia verde ecoillusoria ci faccia buttare via soldi per la soluzione sbagliata. Pertanto la raccomandazione al governo italiano è che faccia di tutto affinché nella prossima legislatura europea la Commissione non dipenda dai Verdi. Per fare cosa? Tre nuovi programmi europei: 1) energia nucleare in priorità, pur senza togliere rilevanza, dove sono efficienti, ad altre fonti pulite; 2) terraformazione e nuove architetture per ridurre la vulnerabilità a fenomeni estremi; 3) aumento della biodiversità sia agricola sia vegetale via bioingegneria per aumentare le quantità e varietà del sistema vegetale, sia in campo aperto sia in serra robotizzata, resistenti ad eccessi di caldo o freddo. Se un lettore salta sulla sedia per aver letto “terraformazione” pensi all’aumento dei livelli del mare ed ai tempi necessari per creare un ambiente che eviti l’impaludamento ed il conseguente abbandono di territori e città: decenni. Pertanto, se il fenomeno non si interrompesse, bisognerebbe iniziare presto ad imparare come applicare le nuove tecnologie terraformanti. Un altro lettore potrebbe puntare il dito su “estremo freddo” chiedendo: ma lo scenario è di caldo estremo? Sì, ma il ghiaccio che si scioglie potrebbe interrompere via eccesso di acqua dolce (lo sta già facendo) la Corrente del Golfo ed esporre l’Europa settentrionale a glaciazioni pur nel risaldamento planetario, noi colpiti da freddo nordico estremo e da caldo africano asfissiante: l’Italia ha un crescente rischio ambientale. Una lettrice, poi, potrebbe concludere: dobbiamo saperne di più per capire meglio tipo, tempi e zonazione dell’ecoadattamento! Perfetto.
Noi economisti stiamo aspettando dalle scienze fisiche-climatiche più dettagli da cui derivare soluzioni economiche: la nostra missione è salvare persone e ricchezza (sia patrimoniale sia liquida) nonché suggerire dove trovare risorse per un programma di ecologia artificiale di lungo termine. E nel breve-medio capire quale prevenzione sia possibile, dove in priorità e quanto costi, per mitigare l’impatto di fenomeni estremi sia alluvionali, sempre più spesso in cronaca e distruttivi, sia siccitosi. Ciò non vuol dire abbandonare la decarbonizzazione (l’impatto antropico sul pianeta c’è), ma mettere in priorità l’ecoadattamento ed il ridisegno dell’ambiente per mantenerlo viabile agli umani. Per iniziare questa svolta ecopragmatica ed antropocentrica c’è bisogno di togliere influenza al pensiero verde irrealistico per lasciare emergere l’ecorealismo ed i soldi per finanziarlo. E ciò richiede un atto politico. Quindi, gentile Georgia Meloni, cortesemente si allei anche con il diavolo, o lo sostenga, per evitare che un’Ue condizionata dal verdismo imponga all’Italia una politica ambientale illusoria divergente dalla sua situazione di massima esposizione al rischio climatico.