Che negli scorsi 5 giorni Borsa italiana abbia perso il 6% e lo spread tra titoli di debito italiani e tedeschi sia salito a picco a 157 punti da poco sotto i 140 delle settimane precedenti merita non solo commenti tecnici di dettaglio contingente, ma anche uno sistemico di “politica della fiducia economica” per l’Italia. Ogni volta che c’è una turbolenza nel mercato finanziario internazionale l’Italia soffre più di altri a causa del suo debito eccessivo perché il capitale migra verso allocazioni considerate più sicure anche se l’economia va bene. Pertanto questo gap sistemico di fiducia dovrà essere ridotto, vediamo come.
Prima è doveroso un cenno sul calo delle Borse. E’ stato causato da un mix di fattori in cui prevale la delusione degli attori di mercato per la lentezza eccessiva con cui la Bce ridurrà il costo del denaro combinato con la percezione che comunque l’azione disinflazionistica produrrà nei prossimi 18 mesi effetti che ridurranno i guadagni delle banche – il differenziale tra il costo del credito pompato dai tassi alti in relazione a quanto una banca remunera i depositi di liquidità dei clienti – che in Italia pesano molto sugli indici di Borsa. Nel mix va anche inserito il rischio politico percepito di una Eurozona destabilizzata dall’ascesa di partiti sovranisti valutati o meno collaborativi sul piano del sistema europeo oppure contrari a programmi di interesse comune. Questo rischio è stato sovrastimato dagli attori finanziari a causa di un eccesso di stampa demonizzante ed ideologizzata che non valuta freddamente e realisticamente gli scenari: la probabilità di finis Europae è bassa. Un altro fattore, poi, è una conversione tecnica degli investimenti in titoli di Stato che ha ridotto quelli in azioni. Va anche aggiunto un tipico comportamento di “presa di beneficio” via vendita di un pacchetto azionario il cui valore è considerato aver raggiunto un picco. Lo scenario tecnico in materia, semplificando, fa prevedere un rimbalzo dei corsi azionari, al momento con un’incertezza sul quando – settimane o mesi – e sui livelli del picco basso prima del rialzo, ma, non sulla tendenza. Fattori contrari a questo scenario sono eventi bellici “oltre soglia”, ma nel presente e prossimo futuro sia Russia sia Cina mostrano di voler evitare confronti diretti o azioni isteriche. Quindi tale rischio trova una fase di pausa, pur aumentando quello di incidenti non voluti per la tensione che resterà alta. Un altro rischio è quello di sanzioni e controsanzioni che danneggino le economie più dipendenti dall’export, cioè di una guerra economica più intensa tra blocco delle democrazie e regimi autoritari. Ma i dati fanno prevedere che in questo caso sarà la Cina a rischiare di più una destabilizzazione perché è ammalata di sovracapacità, cioè produce più di quanto il mercato interno possa assorbire, mentre il blocco delle democrazie, tra cui l’Italia, ha più spazio globale. Ovviamente non si prefigura un mondo tranquillo, ma le democrazie mantengono sia una superiorità tecnologica ed economica sia un atteggiamento di contenimento dissuasivo resistendo alla tentazione di una maggiore aggressività, pur esercitando pressioni economiche inabilitanti contro l’avversario: l’instabilità globale è crescente, ma è probabile resti sotto la soglia di rottura.
In questo quadro denso di turbolenze, ma non ancora critiche, spicca, tuttavia, per i nostri interessi un gap di fiducia da parte del mercato sull’Italia: anche con turbolenze di solo media intensità, comunque l’Italia soffre. E se il mondo resterà metastabile per lungo tempo – probabile – tale gap avrà l’effetto di una compressione endemica della ricchezza nazionale. I rimedi sono tre: a) operazione patrimonio pubblico contro debito per ridurre il debito stesso e rendere l’equilibrio finanziario dell’Italia motivo per un maggior volume di capitale estero che aumenti il Pil nazionale; b) più ordine finanziario interno combinato con più stimolazione degli investimenti privati via detassazione; c) aumento della rilevanza geopolitica dell’Italia sul piano globale per ottenere dall’Ue una minore compressione e dall’America più investimenti futurizzanti. L’attuale governo si sta muovendo bene sul terzo rimedio. Ha colto la priorità di più ordine finanziario e del maggior vantaggio della detassazione stimolativa nei confronti dell’assistenzialismo, precursore di un avvio del secondo rimedio. Ma è ancora lontano dal primo rimedio che sul piano economico-finanziario è quello chiave. Il mio gruppo di ricerca ha simulato il trasferimento di 250 miliardi di beni pubblici vendibili (immobili, concessioni e partecipazioni) su circa 600 miliardi di beni disponibili dalla proprietà statale (o di enti locali) diretta a quella di un Fondo italiano di bilanciamento (Fib) con la missione di valorizzare e dismettere gradualmente in 15 anni questo patrimonio, mettendo l’operazione al servizio della riduzione del debito. La simulazione mostra che se tale progetto fosse credibile, allora il suo effetto benefico (riduzione del costo di servizio del debito, miglioramento del rating, aumento di investimenti esteri in generale e sulle aziende quotate in Borsa, ecc.) ci sarebbe subito o, realisticamente, dopo un paio di anni che confermerebbero la determinazione dell’Italia per risanarsi. Il governo ha già iniziato un’operazione “patrimonio contro debito” vendendo azioni delle partecipate statali per ridurre il deficit, prevedendo circa 20 miliardi, e iniziando un censimento finanziario del patrimonio disponibile. Ma la ricerca di una posizione più affidabile nel ciclo del capitale globale richiede un’operazione più ampia e strutturata, qui abbozzata. Così usciremo dai guai.