Nel prossimo bilaterale in America in aprile il Giappone verrà invitato nell’alleanza trilaterale Aukus (Australia, Regno Unito e Stati Uniti) ed a partecipare all’alleanza tra America e Filippine. Inoltre Washington ha sperimentato il suo nuovo missile ipersonico da una base in Giappone, coprendo il gap in tale tecnologia nei confronti di Cina e Russia. Questi segnali indicano l’allargamento di un’alleanza delle democrazie nel Pacifico ed uno sviluppo tecnologico di superiorità ai massimi livelli. Chi scrive ritiene che l’Italia debba parteciparvi, vediamo come e perché.
Il Giappone entrerà nell’Aukus a livello di secondo pilastro di questa alleanza. Il primo riguarda la fornitura all’Australia di sommergibili nucleari, per il momento con missili convenzionali, per aumentarne la capacità di pattugliamento e presidio in una vastissima area marina per il contenimento dell’espansione cinese e per la deterrenza a difesa di Taiwan. Il secondo riguarda la robotica militare avanzata e l’intelligenza artificiale. Il Giappone aderirà al secondo livello perché spinta innovativa al suo sistema industriale oltre all’aumento della sicurezza. C’è anche un terzo livello? Potrebbe esserci sul piano di una capacità di super-intelligence elettronica globale, includendo il Giappone nei “Five Eyes” (cinque occhi) che includono Australia, America, Regno Unito, Nuova Zelanda e Canada. Indizi? L’accordo per una rete di nuovi satelliti tra l’azienda del settore di Elon Musk e il sistema di intelligence elettronica globale statunitense potrebbe essere esteso ad alleati. La Francia – discutibile per le sue scelte geopolitiche e per una postura “voglio più di quello posso”, ma dotata di una notevole capacità di analisi strategica – aveva tentato di inserirsi nell’Aukus non solo come fornitore di tecnologia per i sottomarini nucleari, ma anche immaginando, correttamente, che l’Aukus stesso sarebbe diventato il nucleo da cui allargare l’alleanza delle democrazie nel Pacifico. E’ stata respinta. Ciò crea uno spazio geopolitico potenziale per l’Italia. Roma è già parte di un accordo militare-tecnologico di enorme importanza con Londra e Tokyo per la costruzione di una piattaforma aerea di sesta generazione (Gcap) con capacità di conduzione di un alto numero di droni da parte di un aereo pilotato, anch’esso robotizzabile volendo. Inoltre fornirà a giapponesi ed inglesi una scuola di volo dedicata in Sardegna. Poiché l’inclusione pur iniziale del Giappone nell’Aukus, e la forte convergenza tra Roma e Londra, tutti a loro volta convergenti con l’America, implica l’inserimento in prospettiva del Gcap nell’alleanza in costruzione nel Pacifico, c’è una possibilità di qualche forma di associazione dell’Italia. Va anche valutato che il consorzio missilistico europeo Mbda, dove l’italiana Leonardo ha il 25%, sta sviluppando nell’ambito di una difesa aerea multistrato anche quella contro missili ipersonici, programma Hydis 2. Pur non essendo potere nucleare, l’Italia ha capacità di punta nel settore militare, oltre ad avere una forza armata classificata decima al mondo, nona la Francia. Ma in certi sub-settori ha una posizione più elevata, per esempio in quello navale grazie all’eccellenza di Fincantieri. Vanno poi annotati la prossima visita di una portaeromobili italiana in Giappone, simbolismo con potenziale concretezza, ed il comando tattico italiano della missione europea Aspides per la sicurezza dei transiti nel Mar Rosso contro la minaccia dei proxy filoiraniani Houthi per tenere aperto il collegamento tra Mediterraneo e Indo-Pacifico. Ciò dimostra che l’Italia, nonostante la forte pressione debellicizzante nell’elettorato, ha ben colto sia la necessità di cercare una posizione di serie A nella tecnologia militare – chiave per la modernizzazione competitiva di quella civile – sia di aumentare la sua presenza nel Pacifico.
Ma Roma ha limiti di bilancio pubblico e altre priorità di contingenza: l’impegno a sostegno dell’Ucraina, quello per la stabilizzazione del Mediterraneo e di parte dell’Africa anche per scopi di contenimento urgente dell’immigrazione e l’investimento nei Balcani occidentali sia per spingerli verso l’Ue sia per affermare la rilevanza dell’Italia nell’area dell’Adriatico esteso. Una missione più forte verso il Pacifico appare eccedere le capacità nazionali. Tuttavia, non può rinunciare alla serie A tecnologica che si sta sviluppando nel Pacifico stesso perché il confronto con l’aggressività cinese implica sistemi molto più evoluti di quelli impiegabili per deterrenza contro la Russia. Né può rinunciare a prendere più peso nel Pacifico e nel G7 per compensare la sua terzietà nell’Ue ancora guidata dalla diarchia franco-tedesca che, pur con buchi crescenti, resterà potere principale europeo. Pertanto alla necessaria convergenza entro l’Ue va aggiunto un peso italiano nel G7, e alleanze derivate. La Francia non potrà farlo e la Germania avrà difficoltà. C’è spazio. Come? Bisogna iniziare senza pretese eccessive ottenendo, intanto, un ruolo di osservatore nello sviluppo dell’alleanza del Pacifico cercando la partecipazione ad alcuni programmi e facendo vedere agli alleati di quell’area l’utilità dell’Italia. Potrebbe essere chiave un partenariato strategico con l’Australia. Nello scenario pesa l’incertezza delle elezioni americane del novembre 2024, ma è difficile che, chiunque venga eletto, sposti di molto la politica estera statunitense: l’America ha bisogno di alleati più attivi perché non ha più la scala, pur superpotenza, per un presidio unilaterale del mondo. Dettagli nel libro “Italia globale” (Rubbettino, 2023). Obiettivo in prospettiva? Diventare il settimo occhio via peso nel Pacifico e nel Mediterraneo costiero e profondo.