Mentre inizia a prendere sostanza il “Piano Mattei” – relazioni di reciproca utilità con nazioni in via di sviluppo – irrompe nello scenario la necessità di un “Piano Fermi” per l’accelerazione sia di impianti nucleari con tecnologia di fissione a sicurezza intrinseca e piccole dimensioni, di nuova generazione, sia dei loro successori con tecnologia di fusione di più lunga progettazione per l’armonizzazione tra energia abbondante e pulita, suoi costi sostenibili e necessità di una politica di ecoadattamento.
Nel 1942 Enrico Fermi supervisionò la costruzione del primo reattore nucleare (Pyle 1) a Chicago, applicando le teorie ed i concetti sperimentali sviluppati nella scuola di fisica di via Panisperna a Roma. Quel gruppo di ricercatori italiani, guidato da Fermi, creò la prima fissione nucleare al mondo il 22 ottobre 1934 bombardando uranio con neutroni rallentati da un blocco di paraffina. Fermi concepì, primo al mondo, un sistema di gestione controllata di una fonte immensa di energia. Per tale motivo ha senso nominare “Piano Fermi” un progetto di accelerazione della tecnologia nucleare super sicura e super efficiente per la diffusione di impianti in Italia, ma anche per la sostituzione di impianti nucleari vecchi altrove. Senza voler fare qui pubblicità ad una o altra tecnologia, va annotato lo sviluppo di una start up italiana in via di consolidamento e con finanziamenti privati importanti che sta progettando mini centrali nucleari a fissione che impegnano pochi ettari di terreno, con costi di costruzione non eccessivi e con sicurezza intrinseca totale. C’è concorrenza su questa idea di mini centrali di nuova generazione, che tra l’altro possono usare scorie radioattive prodotte dai grandi impianti della generazione tecnologica precedente, ed è bene che ci sia come leva di qualità competitiva. Attorno al 2030 potranno essere costruite le prime centrali di nuova generazione e da quel tempo in poi è probabile uno sviluppo accelerato, considerando che le nuove mini centrali potranno essere costruite in serie. E quelle a fusione nucleare con scorie radioattive nulle? Al momento è realistico pensare ad un loro sviluppo entro 20-40 anni, diverse soluzioni tecnologiche in concorrenza. Ma bisogna valutare che poi la loro diffusione sarà graduale. In materia di costi di costruzione e funzionamento non è ancora possibile avere dati sufficienti. Per tale motivo c’è bisogno di uno sviluppo binario differenziato: nel 2050 vi potrà essere un numero sufficiente di mini centrali a fissione con i primi esempi sperimentali di centrali a fusione.
Più si accelera, meglio è. Il cambiamento climatico è spinto dall’aumento delle temperature. Per gestirne gli effetti è necessario produrre più energia elettrica per far funzionare microclimi di salvaguardia per gli umani, sistemi di desalinizzazione per ottenere acqua potabile sufficiente per gli episodi di siccità nonché evitare l’impatto di eventuali casi di desertificazione. Poi andrà valutato il caso delle produzioni agricole in aree dove il cambiamento climatico le minaccia e dovranno essere protette. Dovranno? Certo, senza protezioni funzionanti la gente dovrà migrare e vi sarà una destabilizzazione economica con riverberi conflittuali. Come? Terraformazione contro le alluvioni, sistemi chiusi tipo serre molto estese, forse ingegneria genetica per rinforzare le piante ed un ciclo controllato ed abbondante delle acque. Finora l’offerta di soluzioni è stata discutibile: fermare il cambiamento climatico via decarbonizzazione accelerata. Gli stessi scienziati che la propongono sono scettici sulla possibilità di realizzarla in tempi utili, altri criticano la decarbonizzazione perché azione che in realtà non colpisce i veri motivi del riscaldamento. Gli economisti che attendono dati affidabili dalle scienze climatiche vedono il problema (aumento delle temperature e conseguente maggiore intensità distruttiva degli eventi meteo) ma non stanno ricevendo da queste scienze una varietà di soluzioni applicabili senza produrre a loro volta danni. Pertanto la ricerca della soluzione si sta spostando dall’enfasi sulla decarbonizzazione, senza per altro negarla come parte, ma non unica, della soluzione stessa, verso quella dell’ecoadattamento. E che ciò stia avvenendo è già in cronaca: la decarbonizzazione accelerata crea un conflitto con l’economia e molti attori economici stanno invocando, nell’Ue ecofondamentalista, una minore pressione degli standard/tempi decarbonizzanti. Cresce poi lo scetticismo al riguardo delle fonti di energia intermittenti: solare ed eolico. E ciò spinge a cercare una formula di espansione rapida delle fonti di energia sicure e non intermittenti. Pertanto lo scenario di soluzione si avvicina ad una formula di aumento del nucleare e dell’idrogeno, come fonti primarie stabili, da aggiungere a quelle intermittenti, queste non abbandonate perché in alcuni luoghi, pur non in tutti, il vento è sufficiente per l’efficienza energetica, così come il solare è un integratore di energia, ma non può essere fonte energetica stabile e primaria. Tale analisi sostiene un uso lungo dei combustibili fossili? Su questo entra un altro fattore geoeconomico: chi non li ha è ricattabile da chi li ha. In sintesi, quello che è certo è che ci sarà bisogno di molta più energia elettrica stabile, pulita e sicura. Quella nucleare di nuova generazione promette di esserlo a costi minori di quelli che stiamo pagando in Italia. Il tutto va approfondito, ma entro un “Piano Fermi” che organizzi le idee e spinga il nucleare. Un giovane ricercatore del mio gruppo ha suggerito un “Piano Einaudi” per riordinare la finanza pubblica italiana, ridurre il debito ed ampliare lo spazio fiscale per investimenti innovativi: prossimo argomento, correlato.