Il Piano Mattei, principalmente rivolto all’Africa, ma è un progetto di stabilizzazione dell’intero Mediterraneo costiero e profondo, sta prendendo concretezza perché nel recente incontro bilaterale a Washington, pur con agenda dedicata alla presidenza di Roma del G7, l’Italia ha ottenuto una convergenza preliminare da parte degli Stati Uniti che ha il potenziale di rinforzarlo. Pertanto non è più solo un concetto sperimentale, sospettabile di irrealismo perché la piccola Italia tenta da sola una relazione con gli attori dell’intero continente africano, e dintorni, ma un progetto che inizia a prendere potenziale espansivo. Quindi, anche considerando la recente strutturazione formale a Palazzo Chigi del suo coordinamento multisettoriale, merita scenario.
Va detto che da decenni l’Italia ha, ovviamente, un interesse primario nell’area mediterranea per motivi di sicurezza, economici e più recentemente di controllo delle ondate migratorie. Ma nel passato tale interesse veniva praticato cercando un’autonomia in deroga ai vincoli di alleanza. La novità è che il Governo Meloni non cerca tali deroghe, ma tenta di pilotare le sue alleanze (G7, Nato ed Ue) verso un maggiore investimento per la stabilizzazione di Mediterraneo ed Africa. Gli esperti di geopolitica certamente si chiedono cosa Roma debba dare in cambio per il riconoscimento di tale ruolo attivo da parte degli alleati perché nelle relazioni internazionali c’è solo interesse e non amore. La risposta è che la conduzione di Giorgia Meloni, seguendo la strategia di Cavour che nel 1853/54 inviò truppe piemontesi in Crimea per ottenere in cambio il sostegno francese contro l’Austria-Ungheria (2° Guerra di indipendenza), ha preso una postura di sostegno netto all’Ucraina – non facile nell’ambiente della sua coalizione – convergente con l’America impegnata nel contenimento della Cina e di relazione privilegiata con la Germania entro l’Ue a scapito (pur silenzioso) di quella con la Francia. Lo scambio principale è stato l’abbandono della partecipazione al progetto cinese di Via della Seta – una delle cose più bizzarre fatte dai governi precedenti insieme al devastante bonus edilizio del 110% - che ha incentivato Washington a dare un premio all’Italia. Roma ha tentato di scambiare anche con l’Ue cercando una convergenza partitica tra conservatori e popolari che ha incentivato Ursula von der Leyen, nella veste di presidente della Commissione e candidata a presiederla dopo le elezioni europee di giugno, nel sostenere la chiamata verso sud di soldi e ingaggi europei, in particolare una parte dei 300 miliardi del fondo “Global Gateway”, visto che l’Italia ha sì e no 5,5 miliardi disponibili, negli anni, per lo scopo di creare una relazione reciprocamente vantaggiosa con gli Stati africani che saranno obiettivo. Ma l’Ue ha priorità verso Est più pressanti di quelle a Sud e sarà difficile ottenere risorse. Pertanto è stato intelligente cercare di ingaggiare l’America.
Bene, ma ci vorrà di più. Nel 2023 la Cina ha avuto un interscambio con l’Africa di circa 300 miliardi di dollari (aumentato del 10% dal 2022). La Russia ha una strategia “pesante” in Africa con doppio scopo: dominare l’area orizzontale sahariana che unisce l’Atlantico ed il Mar Rosso per contrastare l’influenza Nato, ma anche condizionare il potere cinese nel continente (nel dopo Putin tra qualche anno è probabile una divergenza forte tra Russia e Cina). La strategia è riuscita espellendo la Francia dall’area francofona e conquistando risorse critiche. Da questa posizione Mosca tenterà di espandersi sia verso settentrione, cioè la costa mediterranea, sia verso meridione, dove ha già preso presidii importanti, sia in collaborazione con la Cina sia per contenimento della stessa. In realtà l’azione sino-russa in Africa ha debolezze, ma ciò non implica simpatie per gli europei o gli americani considerati coloniali. Anche per questo motivo, cioè evitare la percezione di potere coloniale, Roma sta tentando un approccio collaborativo di reciproco vantaggio con alcuni Stati chiave. L’America nel 2023 ha fatto una cosa simile inviando il ministro del Tesoro, Janet Yellen, in una decina di Paesi africani destabilizzati dal debito pubblico verso la Cina, per fornire loro soluzioni. Ma, appunto ci vorrà di più.
Cosa? Diversamente da analisi superficiali, l’America non ha abbandonato il presidio dell’Africa sul piano militare. Pertanto appare molto razionale la proposta italiana di ingaggio dell’America in un progetto di contrasto del traffico di essere umani: questo sarebbe uno strumento di controllo del territorio utile per ridurre le migrazioni (che sono più organizzate che spontanee), ma anche per un avvio di presidio geopolitico. Tuttavia, serve di più. Una soluzione potrebbe essere quella di creare un gruppo di contatto ed investimento per ciascuna nazione africana guidato dal G7 più suoi alleati. Per esempio, il Giappone sta costruendo una megaponte in Kenya, zona geostrategica: America, Giappone ed Italia e chi vuole nell’Ue potrebbero formare un gruppo di sostegno. Per altre nazioni africane tale gruppo di sostegno potrebbe avere diverse formule di nazioni contributive. L’Italia ha un probabile interesse contributivo in circa 12 nazioni africane: in queste deve giocare un ruolo coordinativo primario. In altre può cederlo ad alleati. Ma il tutto armonizzato a livello G7 ampliato con nazioni compatibili o via un “ad hoc group” se la Francia divergesse. L’ingaggio dell’America potrebbe essere rovesciato dall’elezione di Donald Trump? Imponderabile che sia, va detto che Africa e Mediterraneo sono di interesse vitale per l’impegno statunitense nel Pacifico. In conclusione, si intravede una possibilità espansiva per l’Italia, dettagli in “Italia globale” (Rubbettino, 2023).