Il volume del debito pubblico riduce sia il potenziale di ricchezza e di investimenti modernizzanti dell’Italia sia la capacità dell’Italia stessa di esportare globalmente sicurezza ottenendo in cambio una posizione migliore nelle sue alleanze e nelle relazioni internazionali in generale nonché vantaggi geoeconomici. Pertanto la “dedebitazione” è una priorità. Come e quanto?
Con dismissioni – valorizzate per evitare svendite - di parte del patrimonio disponibile fatto di partecipazioni, immobili e concessioni: uno studio del gruppo di ricerca (Stratematica) di chi scrive ipotizza che la vendita di 250 miliardi di patrimonio disponibile – circa 600 miliardi - parcellizzata in un periodo di 10-15 anni sarebbe sufficiente per invertire il declino ed aumentare la competitività sia economica sia geopolitica dell’Italia. Periodo troppo lungo per le esigenze nazionali di finanza pubblica? Il gruppo di ricerca ha svolto una serie di simulazioni – con l’aiuto di attori finanziari europei ed americani – dove è emerso che l’annuncio di un programma di dedebitazione, pur lungo, ma credibile, avrebbe un effetto immediato di riduzione del rischio Italia percepito con la conseguenza di un maggiore afflusso di investimenti esteri su entità economiche dell’Italia stessa. A condizione che lo spazio fiscale così conquistato in prospettiva venga utilizzato dalla governance politica per detassazione ed investimenti futurizzanti, e non per dissipazioni di capitale pubblico come fatto nel passato recente e remoto, nonché per facilitazioni alla quotazione di piccole imprese con probabilità di diventare più grandi. Per inciso, dati importati da alcune società di investimento stimano in circa 1.500 le piccole aziende italiane ad elevata capacità di espansione già oggi o tra pochi anni quotabili. Si pensi all’effetto boom: più assunzioni, più programmi formativi per più lavoro qualificato e più ottimismo per aumentare i salari. Alcuni partecipanti all’esercizio di simulazione hanno detto che sarebbe opportuno creare un Nasdaq italiano (Borsa per le aziende tecnologiche) connesso con quello americano: idea attraente.
Il governo sta pensando ad un’operazione “patrimonio pubblico contro debito”? Ci ha già pensato, e la sta predisponendo, come operazione di dismissione a breve-medio termine di una percentuale di partecipazioni statali selezionate che non pregiudica il mantenimento della proprietà statale. Ma lo ha fatto cercando di trovare 20 miliardi per restare entro i limiti di deficit ammesso dalle regole europee nel prossimo futuro. La buona notizia è che il governo si sta avvicinando al concetto di dedebitazione via dismissioni di patrimonio statale, combinato con quello che da tempo ispira una società statale con la missione di dismettere immobili, finora con piccole cifre. Ma la cattiva notizia è che si è ancora lontani dall’idea di fare un’operazione più grande, sistemica e con strumenti adeguati. Tale operazione è stato oggetto della simulazione detta sopra: a) creazione del Fondo italiano di bilanciamento (Fib) multicomparto, inizialmente di proprietà pubblica; b) trasferimento del patrimonio statale suscettibile di dismissione prospettica al Fib; c) preparazione della dismissione nel miglior momento di mercato e aumento di valore del bene via investimenti di riqualificazione ed emissione di obbligazioni a remunerazione differita, ma moltiplicata, per avere subito cassa per finanziare le (ri)qualificazioni; d) e/o articolazione del complesso in fondi finanziari cedibili (ma c’è un tema di sconto eccessivo). Tre varianti di questa operazione sono state oggetto di simulazione, dando tutte risultati positivi, cioè la riduzione del debito pubblico di 250 miliardi in 10 anni con effetto anticipato. Sperando in una media di 25 miliardi anno? Difficile nei primi 2-3 anni dall’istituzione operativa del Fib avere un tale risultato, ma compensabile con un plus negli anni seguenti. Tuttavia allo Stato serve una riduzione subito. Potrebbe essere possibile se l’operazione ricevesse un “bollino blu”, cioè una forma di garanzia, dall’Ue. Ma ancor meglio se la finanza privata – per lo più estera – acquistasse diritti opzionali di proprietà di un Fib quotato. Ma tale scenario sarebbe valutabile solo in fase di ingegneria del Fib, dove l’oggetto di analisi sarebbe la quantità di sconto sul potenziale di valore in cambio di cassa subito. Quindi al momento restiamo sull’idea generale molto probabile che il solo annuncio (credibile) dell’operazione comporterebbe un enorme beneficio all’economia italiana.
Qualcuno potrebbe dire che 250 miliardi di dismissioni in tempo lungo sono troppo pochi per un effetto di riduzione forte del debito complessivo, mostruoso e che porta l’Italia in declino rallentabile dal Pnrr, ma non invertibile. La simulazione ha calcolato un effetto moltiplicativo del beneficio e posto il vincolo del limite di deficit annuo come da nuovo Patto di stabilità: si fa meno debito e se ne taglia una parte, attivando un processo di ulteriore riduzione del debito stesso in relazione al Pil via più crescita. Sul punto va detto che per aumentare la crescita in Italia va abbattuta una parte del debito allo scopo di frenarla di meno. L’ostacolo principale sembra l’attribuzione alle Regioni di buona parte del patrimonio immobiliare nazionale. Ma non è un ostacolo tecnico: è perfino banale costruire una funzione di compensazione a seguito del conferimento del patrimonio al Fib. In conclusione, si raccomanda alla Presidenza del Consiglio e/o al ministero dell’Economia di istituire una funzione che generi un Fib operativo dal 2025, precorso da un ampio concorso di idee nel 2024, forse organizzabile dal Cnel, coinvolgendo Parlamento, Regioni e Comuni. Titolo? Rigenerazione dell’Italia.