Merita sostegno il progetto del ministro della Difesa Guido Crosetto di creare una Riserva militare ausiliaria con compiti di sicurezza interna ed esterna di 10.000 unità. Il progetto verrà presentato al Parlamento entro un breve tempo. Pertanto è il momento giusto per una riflessione di fondo.
Chi scrive fu dal 2001 al 2005 consigliere (part time) del ministro della Difesa Antonio Martino con compiti di scenaristica strategica. Fu facile convergere con Martino, per sua competenza di ricerca, in materia di proiezioni future dalle quali derivò una probabilità significativa di aumento della turbolenza globale che avrebbe richiesto all’Italia una transizione verso una sicurezza nazionale più strutturata ed un ruolo di esportatore di sicurezza più attivo entro le alleanze. Per inciso, ambedue economisti, ai tempi l’analisi portò alla tutela di Finmeccanica (oggi Leonardo) contro il tentativo francese di assorbirla: fu attivato un piano per trasformarla da preda in predatore che ebbe successo grazie ad un ingaggio diffuso e coordinato del Governo Berlusconi. L’analisi, ben sostenuta dall’allora viceministro dell’Economia Mario Baldassarri, altro professore di Economia, mostrava con chiarezza che non puoi esportare (ed avere) sicurezza senza un’industria militare-tecnologica nazionale robusta, non per nazionalismo lirico, ma per poter partecipare con vantaggio di trasferimento tecnologico ed industriale alla portata di un potere medio-piccolo (ma grande potenza economica basata sull’export) a consorzi internazionali. Nonché poter fare forniture a nazioni con valore geopolitico. Sul piano di una sicurezza nazionale adatta a tempi futuri turbolenti l’azione fu più politicamente difficile e Martino riuscì solo ad aprire uno spiraglio normativo. Che fu ampliato un po’ dal Governo Draghi nel 2022. E finalmente è in procinto di trovare una finestra aperta grazie al Governo Meloni perché la previsione di un futuro turbolento si è attualizzata con impatto sfidante.
Ma questo avvio di potenziamento della sicurezza non è solo un’idea italiana. Da mesi la Nato sta studiando il rafforzamento della deterrenza per convincere la Russia a desistere da idee aggressive. La preparazione di un’esercitazione mega con l’impiego di 90.000 militari Nato è un segno ed anche un messaggio dissuasivo. Così come l’inclusione rapida di Finlandia e Svezia nella Nato stessa, la decisione delle tre repubbliche baltiche di costruire una muraglia contro possibili invasioni russe, ecc. Colpisce la recente dichiarazione di Ron Bauer, presidente del Comitato militare Nato, che bisogna prepararsi alla guerra con la Russia. Fa saltare sulla sedia quella del ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius che ritiene possibile una guerra con la Russia entro 5 – 8 anni. Chi scrive si aspetta che l’Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ora Capo dello Stato maggiore Difesa dell’Italia e prossimo presidente del Comitato militare Nato possa interpretare con un pragmatismo istruito, già mostrato in alcune occasioni comunicative, lo scenario trovando una tipologia di dissuasione forte nei confronti di Mosca combinata, però, con una aggressività non totale contro Mosca stessa. Qualora la Russia decidesse veramente di attaccare (e l’aumento impressionante della sua spesa militare nel bilancio 2024-25 non permette di escluderlo) difficilmente userebbe il metodo convenzionale adottato nell’offensiva contro l’Ucraina: attiverebbe la minaccia nucleare – sensazioni da fonti di intelligence fanno ipotizzare già ben studiata - confidando che così potrebbe depotenziare la coesione politica della Nato. E dopo le batoste subite sta imparando a fare la guerra. L’America sta rinnovando la sua tecnologia nucleare, ma gli europei sono in ansia perché temono un’Amministrazione Trump orientata al disingaggio. Chi scrive non lo pensa perché senza gli europei l’America non può sperare di mantenere un sufficiente presidio globale. Ma è innegabile che lo scenario sia instabile. Un indizio, per esempio, è che il neoministro degli Esteri britannico, David Cameron, ha dichiarato di sentirsi come negli Anni 30 del secolo scorso. In sintesi, in tutte le nazioni Nato europee sta emergendo un linguaggio che avverte la popolazione civile che deve prepararsi a possibili emergenze causate da situazioni conflittuali.
Produrre la trasformazione di una società debellicizzata verso una più organizzata per gestire sorprese negative e dissuasione contro chi le proietta (Stati o gruppi terroristici) è difficilissimo. Ma il primo passo prudente e limitato in Italia in questa direzione va valutato con realismo e non con pacifismo viziato dalla negazione del pericolo: è tempo di pensiero forte e non debole.
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