C’è molta curiosità sia nell’area degli economisti liberali sia in quella degli analisti di strategia geopolitica sul tentativo del nuovo presidente Javier Milei di invertire il destino catastrofico dell’Argentina con azioni di totale discontinuità dal modello economico peronista, definibile come social-nazionalista, chiuso, statalista, assistenzialista. Un fallimento confermato da inflazione (circa 150%) e debito (44 miliardi di dollari con il Fmi) fuori controllo e da una povertà diffusa che probabilmente ha alimentato il voto di maggioranza per una presidenza e governo discontinui. Ci dovrebbe essere attenzione su questo tentativo di rivoluzione liberista anche da parte dell’Italia non solo per la gran quantità di emigrati italiani, molti con doppio passaporto, ma anche per le possibili conseguenze modificative su tutto il Sudamerica della rivoluzione argentina. Infatti non è solo liberista, ma anche geopolitica perché Milei ha espresso una volontà di convergenza con Stati Uniti ed Ue, liberandosi da influenze cinesi (e brasiliane “luliste”). Chi scrive intravede un partenariato strategico Italia – Argentina che anticipi altre nazioni, con beneficio sia bilaterale sia sistemico per ambedue. Ma c’è prudenza perché la svolta rivoluzionaria dell’Argentina è al momento valutata con bassa probabilità di successo. Infatti la stampa di sinistra in Europa, Italia ed America enfatizza le proteste contro i primi provvedimenti di Milei.
Vediamoli. Dichiarazione di emergenza pubblica in materia economica, finanziaria, fiscale, amministrativa, previdenziale, tariffaria, sanitaria e sociale fino al 31 dicembre 2025. Per risolverla verrà attuata la più ampia deregolamentazione del commercio, dei servizi e dell’industria, massimizzando l’apertura alle relazioni commerciali esterne, aderendo alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. La discontinuità con il modello peronista-protezionista è totale: libero mercato aperto e concorrenziale e apertura alla privatizzazione di aziende statali. Da un lato, è comprensibile la mobilitazione contraria del “popolo protetto”. Dall’altro, è significativo il consenso di quello impoverito, attivo e che vuole soluzioni forti. Il secondo è la maggioranza. Milei non ha nascosto in campagna elettorale questo programma rivoluzionario, anzi lo ha sottolineato con precisione: pertanto c’è una maggioranza sociale consapevole della necessità di sacrifici per invertire il destino negativo dell’Argentina.
Alcuni commentatori hanno dipinto Milei come un pazzoide per la sua idea di abolire la Banca centrale, secondo la teoria anarco-capitalista. In realtà non lo farà. Ha in programma la svalutazione del peso, almeno il 50%, e ciò ha raccolto il plauso del Fondo monetario internazionale perché misura realistica. Interessante, poi, l’idea di ammettere qualsiasi valuta per le transazioni, inserendo anche il baratto come misura emergenziale per chi non ha liquidità. Non sembra pazzia quella di ammettere ogni possibile libera azione per attivare un ciclo economico pur in condizioni disperate. E se fosse pazzia? Gli elettori hanno aderito all’idea “meglio pazzo che ladro”: ciò esemplifica le condizioni a cui è arrivata l’Argentina. A chi scrive Milei non appare un pazzo, ma uno che non vuole gradualizzare la cura preferendola brutale e rapida motivandola come operazione d’emergenza: uno scossone. Tuttavia, ci sono segni di pragmatismo, anche considerando alcune sue scelte nella composizione del nuovo governo. Tale sensazione porta a suggerire a Roma un iniziale atteggiamento di fiducia nei confronti del tentativo di Milei che lo aiuti ad attuare il risanamento dell’Argentina. Per Roma non è facile farlo al momento: Milei è critico verso il Papa argentino; non è un ambientalista, anzi; i complimenti di Donald Trump e dell’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro, appaiono tossici per le relazioni dell’Italia con l’America a conduzione Biden e con l’Ue a maggioranza socialista-ambientalista. Ma va considerato che Milei ha un codice di destra liberale e non di destra autoritaria o populista o nazionalista/chiusa, compatibile con la destra pragmatica al governo ed in maggioranza in Italia. Semplificando, sembra più appartenere al conservatorismo liberale aperto che non alla destra nazionalista chiusa. Più importante, sta cercando di salvare l’Argentina portandola verso l’alleanza delle democrazie. Lo sta facendo in modi che potrebbero provocare una ribellione portatrice dell’ennesima instabilità dell’Argentina? Proprio per questo una convergenza con l’Italia potrebbe aiutare il nuovo governo argentino a calibrare le mosse interne: è uno spazio di intervento per un’Italia che si muove verso la dimensione globale (si legga “Italia globale”, Rubbettino, 2023). L’area del Sudamerica dove l’Italia potrebbe intervenire più facilmente ampliando le collaborazioni è fatta da Argentina, Cile, Paraguay ed Uruguay. Chiaramente il Brasile è un obiettivo di future convergenze utili all’Italia ed alla sfera delle democrazie, ora la conduzione di Luiz Lula divergente. Ma questi ha vinto le elezioni per uno zerovirgola ed ha contro il sud industriale, tra l’altro con una imprenditoria con forte presenza di origine italiana. Allargare l’attenzione alla parte meridionale e centrale del Sudamerica appare un’ipotesi quasi ovvia da porre all’attenzione della politica estera – con fini economici – dell’Italia proprio a seguito dello scossone positivo in Argentina. Che ha certa probabilità di estendere il suo effetto ad altre parti del continente. In conclusione, andrebbero aperti subito colloqui riservati bilaterali tra Italia ed Argentina.