Il discorso di Hassan Nasrallah di venerdì scorso, leader degli Hezbollah – strumento operativo ben finanziato del regime di Teheran - concentrati nel sud del Libano ha mostrato la volontà di non attaccare Israele, così separandosi dall’azione di Hamas. Ovviamente tale postura è stata concordata con l’Iran – per altro fornitore di missili, addestramento e soldi ad Hamas - che già da giorni stava dando segnali di non volontà di belligeranza. Nei fatti si vede che Hezbollah sparacchia senza esagerare. Nelle parole continua il sostegno ai palestinesi impegnati contro Israele, ma solo tenendo impegnato per difesa preventiva contro un eventuale attacco da nord circa un quarto delle forze armate israeliane. In sostanza, l’Iran si è dissociato da Hamas. Paura degli Hezbollah di essere eliminati e/o di perdere il controllo politico che hanno sul Libano se indeboliti? Paura dell’Iran di diventare bersaglio di un attacco diretto da parte di Israele in una situazione in cui il regime degli Ayatollah deve gestire un crescente dissenso interno? Oppure obiettivo raggiunto: impedire che l’Arabia firmi un accordo, che era già in bozza il 7 ottobre, con Israele, ultimo passo per attivare la “Via del cotone” per connettere l’India con il Mediterraneo via penisola arabica e sbocco nel porto israeliano di Haifa? Certamente questo è un interesse della Cina che vuole evitare l’annullamento della “Via della seta” da parte della via del Cotone e una maggiore centralità dell’India, nonché una sua proiezione verso l’Africa molto sostenuta dall’America. Appare anche un interesse di Mosca sabotare un progetto che le toglierebbe influenza nel Medio oriente, nelle relazioni “Opec +” con l’Arabia ed in Africa. Pechino e Mosca, avendo raggiunto l’obiettivo di almeno ritardare di molto la Via del cotone grazie alla reazione antiebraica di massa nelle nazioni islamiche ed in parecchie europee, potrebbero aver segnalato a Teheran, dopo averla riservatamente sollecitata ad attivare Hamas, che l’obiettivo era stato raggiunto e che bastava così? Possibile, anche considerando l’interesse della Cina ad infilarsi come mediatore rilevante nel Medio Oriente, puntando, soprattutto, a condizionare l’Arabia e a dare un messaggio all’America: devi metterti d’accordo con Pechino per evitare conflitti multipli nel mondo (Gaza, Ucraina, ecc.) e poi ad allineare Mosca ci pensa Pechino stessa. Probabilmente tema a porte chiuse nell’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping a San Francisco questo mese, già preparato in dettaglio dai rispettivi ministri degli Esteri. C’è una verità? Ancora no perché ci sono solo indizi, ma non prove che sono nelle mani esclusive delle agenzie di intelligence. Tuttavia, c’è un dato leggibile apertamente: aumenta la probabilità che il conflitto di Gaza resti limitato.
Destino di Hamas? Israele è in grado di eliminare tale organizzazione. L’Egitto non si opporrebbe perché Hamas è parte del movimento dell’Islam politico – sostenuto da Turchia, ora un po’ meno dal Qatar, presente in Tunisia, ecc. - che nel mondo sunnita si oppone a quello filo-saudita. Quindi Arabia ed Egitto non vedrebbero male la sparizione di Hamas e, pur parlando un linguaggio di tutela dei palestinesi per non perdere consenso, lascerebbero via libera all’azione di Israele. Anche all’Iran, probabilmente, Hamas non sarà più tanto utile, mentre Hezbollah e la Siria resteranno importanti per il regime: ora punta ad una presenza nell’Africa orientale – ci sono state visite recenti in tre nazioni - forse in accordo con Cina e Russia ed essere uno sponsor di Hamas non è tanto conveniente, diversamente dai proxy Houthi nello Yemen. La Russia? Sta valutando, al momento indecisa sulla strategia di come mantenere le proprie posizioni nell’area islamica ed in Africa. In sintesi, se Israele bonifica Gaza dalla presenza di Hamas (e della Jihad islamica) ciò non dispiacerebbe ad una parte di rilievo del mondo sunnita. Ma questa ora solo ipotetica convergenza tra Israele, Arabia, Egitto ed Emirati, ecc., nonché la postura di mediatore del Qatar, disturba la Turchia (motivo delle parole estreme di Ankara) e probabilmente l’Algeria in relazione conflittuale con il Marocco che ha confermato la convergenza sugli Accordi di Abramo (2019) tra Emirati ed Israele con il consenso silenzioso dell’Arabia. L’America preme su Israele per limitare l’impatto della bonifica di Hamas sui civili residenti a Gaza, ma non sta bloccando l’azione perché percepisce che se tale impatto fosse contenuto poi sarebbe possibile riprendere il dialogo arabo – israeliano e stabilizzare la regione, pur considerando che la Turchia e forse la Cina – se non coinvolta direttamente come paciere – si opporrebbero, cercando altri tipi di sabotaggio. Scenario mobile, ma resta comunque una probabilità elevata di evitare un’escalation.
Anche per la molteplicità di interessi che vogliono la stabilizzazione dell’area. Tra questi è rilevante la concessione triennale data da Israele all’Eni ed alla BP per l’esplorazione dei giacimenti di gas al largo delle coste di Israele stessa (che appaiono enormi anche nelle zone marine di Cipro ed Egitto). Il pieno sfruttamento di questo potenziale lo renderebbe fonte primaria per i rifornimenti all’Europa e darebbe concretezza al disegno italiano di essere uno snodo energetico continentale. Forse anche per questo la Turchia si sta innervosendo. L’interesse italiano? Ovviamente quello di stabilizzare il tutto grazie alla ripresa della convergenza tra Israele, Egitto ed Arabia. Impossibile nella situazione di conflitto attuale? Certamente è difficile, ma a ben vedere tendono a prevalere gli interessi di ricomposizione. Sarà possibile essere più precisi nelle prossime settimane.