Il caso dell’inclusione della Turchia nella Ue va visto anche nei suoi aspetti di “geopolitica economica” finora lasciati in ombra. Con tale metro l’eventuale integrazione futura di Ankara promette un vantaggio per tutti i Paesi europei, molto di più per quelli che si affacciano sul Mediterraneo centrale ed orientale, in particolare l’Italia, e un po’ meno per quelli centro-occidentali e nordici. Analizziamo questa ipotesi di scenario.
Prima di argomentarla devo riferire ai lettori un fatto fuori dal normale che mi ha colpito. Pochi giorni fa il Veneto serenissimo governo – l’organizzazione indipendentista che vuole essere custode e continuatrice della sovranità della Repubblica di Venezia e che si segnalò al mondo con il famoso atto dimostrativo di occupazione di Piazza San Marco, per altro punito con il carcere per i militanti che lo fecero – mi ha chiesto un parere tecnico. Sintetizzo la richiesta: “dai nostri calcoli vien fuori che l’inclusione della Turchia nel sistema economico europeo potrebbe avere come effetto la ricostruzione dell’area di mercato che vide Venezia al centro, e ne creò la ricchezza, tra il 1200 ed il 1500: Mediterraneo orientale esteso all’Asia centrale ed all’area balcanica e della Russia meridionale. Se nel futuro vi fosse una possibilità di ripetizione, pur variata, di un tale sistema e fosse a vantaggio di Venezia – intesa come Veneto più Friuli occidentale e Lombardia orientale - allora potremmo considerare, pur entro certe condizioni, una nostra posizione favorevole alla Turchia, superando il conflitto storico e modificando la linea di confine contro l’Islam dal quale dobbiamo difenderci con esclusioni”. Non commento gli aspetti politici/simbolici, ma sono rimasto molto sorpreso da come questa ipotesi trovi riscontro positivo nelle simulazioni tecniche che tratto per mio mestiere di ricerca.
Gli scenari geoeconomici analizzano gli elementi spaziali dell’economia. E – in base ad un noto modello elaborato da Wallerstein – cercano di individuare il centro, la semiperiferia e la periferia di un’area di mercato. Dove la teoria ipotizza che il territorio al centro possa godere di un vantaggio in termini di ricchezza, decrescente verso semiperiferia e periferia. Per esempio, l’Italia settentrionale era il centro del mercato globale del 1500 e poi questo “migrò” a nord attratto dai poteri emergenti britannico, francese e olandese. Il settentrione italiano divenne periferia impoverita anche perché Venezia, ai primi del 1600, perse la sua centralità in un mercato mediterraneo non più praticabile. Ora, nell’eurozona, il settentrione è una semiperiferia pur ben agganciata al centro economico europeo (Germania, Francia nord-orientale) ed il meridione italiano è una periferia depressa. Andiamo al punto dello scenario: una Turchia (70 milioni di abitanti proiettati a 80 nel 2020) economicamente integrata con l’Europa aumenterebbe il proprio sviluppo e questo creerebbe nuovi e più flussi di scambio dall’Egitto fino alla Cina e a noi, generando un volano economico nel Mediterraneo orientale. Ankara passerebbe da periferia a semiperiferia, ma grazie ai nuovi flussi commerciali il nordest italiano e l’Italia meridionale diventerebbero un centro geoconomico. Che si aggiungerebbe a quello franco tedesco, ma limandone un po’ la forza attrattiva. In sintesi, l’inclusione economica della Turchia creerebbe una nuovo spazio economico che unirebbe Paesi a sviluppo rapidissimo perché ora poveri con quelli già semiricchi, facendo diventare più ricchi e centrali i secondi. Pur qui dato per cenni, tale scenario merita approfondimenti non emotivi perché si profila un’opportunità notevole di nuova ricchezza per il semiperiferico nordest.