Venerdì scorso è fallito il bilaterale economico tra Ue e Stati Uniti a Washington che avrebbe dovuto sancire una convergenza politica tale da eliminare per sempre i dazi imposti nel 2018 dall’Amministrazione Trump all’export di acciaio ed alluminio europei in America, sospesi dall’Amministrazione Biden fino al dicembre 2023. Non è stato un disastro perché tale sospensione è stata prolungata da Washington per tutto il 2024. Ma è un pessimo segnale per la strutturazione di una convergenza economica bilaterale euroamericana poi base per la formazione di un mercato integrato del G7 necessario sia per rinforzare l’economia di ogni singola democrazia sia per creare un effetto “magnete” utile alla cooptazione progressiva delle nazioni chiave del Sud globale. Il tema sembra settoriale, ma è profondamente politico e generale. Infatti nell’incontro c’erano il presidente ed il ministro del Tesoro statunitensi, da un lato, e dall’altro i vertici dell’Unione europea: Commissione e Consiglio intergovernativo rappresentato dal presidente e dal delegato per la politica estera dell’Ue. Tale livello negoziale – precorso il giorno prima da un difficile incontro bilaterale tra responsabili del commercio estero - chiama l’attenzione sull’architettura internazionale delle nazioni con modello di “capitalismo democratico” sfidato da quello autoritario. Senza creazione di un mercato integrato tra democrazie, aperto a cooptazioni successive e quindi “G7+”, aumenta il rischio di sconfitta sul piano globale delle democrazie stesse. Pertanto urge pensare alla riparazione: unire la convergenza politica ora esistente nel G7 con quella economica. Manca solo un trattato economico euroamericano (ed uno tra Londra e Bruxelles) per completare il reticolo di accordi fatti dalle altre nazioni partecipanti e così poter armonizzare la matrice complessiva.
Il punto delicato nel negoziato euroamericano, dove il tema dei dazi è conseguenza di altre divergenze? Tre, combinati: a) l’allineamento dell’Ue all’America per le restrizioni commerciali verso la Cina; b) l’esclusione dell’America dai (futuri) dazi ambientali europei; c) l’accesso delle auto elettriche di marchio europeo agli incentivi nel mercato americano solo per produttori statunitensi ora non previsto dall’Inflation Reduction Act (IRA) che, semplificando, punta alla reindustralizzazione degli Stati Uniti, facilitando con grandi somme il ritorno a casa della capacità manifatturiera americana (reshoring) da anni delocalizzata con impatto su occupazione e livello dei salari della classe media. La divergenza può dirsi protezionista, in molta parte condivisa a destra e sinistra, per l’America che ha subito un impoverimento di massa negli scorsi decenni per un eccesso di importazioni non bilanciato, sul piano degli effetti sociali, dall’afflusso di dollari da parte degli esportatori nel mercato finanziario statunitense. Il lato europeo ha un protezionismo simile in alcuni settori, per esempio agricoltura, ed uno di nuovo tipo finalizzato a mettere dazio ecologico su mezzi importati con forte impronta di carbonio. Inoltre, l’Ue subisce sia una pressione tedesca per limitare i dazi alle merci cinesi pur notoriamente facilitate da sovvenzioni statali – qui c’entrano acciaio ed alluminio – ed una francese che persegue un’autonomia strategica dell’Ue contraria all’integrazione economica euroamericana.
Va annotato che la guida tedesca del Partito popolare europeo – quello nazionale ora all’opposizione in Germania – dai primi giorni della presidenza Biden invoca periodicamente la ripresa dei negoziati (interrotti a fine 2016) per un trattato economico Usa – Ue. Ciò anche spiega la maggiore convergenza della popolare Ursula von der Leyen con Jo Biden e la divergenza di von der Leyen stessa con il belga Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ed il socialista spagnolo Josep Borrel, delegato per la politica estera dell’Ue. Era ovvio che di fronte a questa rappresentanza dell’Ue molto divisa e comunque non credibile sul piano del potere decisionale nei confronti delle euronazioni, l’unica cosa realistica da fare da parte dell’America sia stata quella di allungare il negoziato e il periodo di sospensione dei dazi americani verso l’Ue. Per inciso, va ricordato che la Commissione europea ha la delega per predisporre e pre-negoziare i trattati economici esterni dell’Ue per poi passarli all’approvazione del Consiglio e parlamenti nazionali. Da un lato, la relazione tecnica tra Ue e Stati Uniti è molto strutturata per l’individuazione e presidio delle divergenze economiche utile a risolverle. Dall’altro, l’Ue non ha l’architettura politica per negoziare soluzioni. C’è stata un’asimmetria di potere decisionale nel bilaterale Ue e Usa di venerdì scorso ed una divisione interna europea così forte da renderlo ridicolo ed umiliante per le nazioni europee, con rischio di danno. Certamente questa architettura dell’Ue per le relazioni di mercato esterno non è funzionale. Cosa fare? C’è il dubbio che dopo le elezioni presidenziali americane vada al potere una politica protezionista più dura? Si c’è, ma a ben guardare l’America impegnata in molteplici fronti contro le autocrazie avrà un interesse a compattare il G7. Nel 2024 Roma lo presiederà e sarebbe utile che predisponga un concetto di convergenza economica del G7 stesso. In relazione alle elezioni europee nella primavera del 2024 dovrà per proprio interesse rafforzare il fronte europeo pro-atlantico con conseguenze di semplificazione dei trattati economici Ue con alleati. Bisogna pensarci già adesso.