L’attacco di Hamas contro Israele ha un’intensità ed una preparazione che induce a pensare ad un’operazione più vasta sostenuta dall’Iran e, forse, da una parte dell’Autorità palestinese e da altri attori: ostacolare l’accordo tra Israele ed Arabia – ora all’ultimo miglio – che è necessario per la creazione della “Via del cotone”, cioè l’infrastruttura che prevede il collegamento tra India e Mediterraneo, in parte navale ed in parte via ferrovia nella penisola arabica (Emirati ed Arabia) con sbocco nel porto israeliano di Haifa. Per l’Italia, e per l’Ue, l’attivazione di tale corridoio (che riduce del 40% il percorso) è una priorità strategica perché sostituisce l’influenza cinese attraverso la Via della seta e promette sia di spostare l’Africa entro un’area geopolitica e geoeconomica meno vulnerabile alle penetrazioni russe e cinesi sia di facilitare la proiezione italiana, in particolare, ed europea, in generale, verso l’Indo-Pacifico e dintorni rilevanti. Va qui ricordato che l’accordo preliminare per la Via del Cotone è stato siglato in occasione del recente G 20 in India da New Delhi, Washington, Ue, Francia, Germania ed Italia con il consenso di Emirati ed Arabia e di Israele. Pertanto Israele va sostenuta non solo perché è una democrazia sotto attacco terroristico, ma anche perché è un terminale di un progetto di portata globale. Questa aggiunta geostrategica al dovere morale di difendere le democrazie implica la ricerca di una soluzione che elimini il rischio di instabilità in una stazione essenziale per la connessione Mediterraneo – Pacifico.
Alcuni commenti a caldo sulla vicenda si chiedono come mai gli efficientissimi Shin Bet e Mossad israeliani non abbiano avvertito in tempo il sistema di difesa che ha subito migliaia di attacchi missilistici e decine di uccisioni e catture di militari e civili israeliani da parte delle truppe di Hamas penetrate in Israele dalla striscia di Gaza, operazione denominata “Diluvio al Aqsa”. Chi scrive ha dubbi sull’ipotesi di una loro inefficienza perché in questi giorni si stanno svolgendo negoziati tra Arabia ed Israele, mediati dall’America, dove la prima chiede facilitazioni per i palestinesi per non essere accusata di tradimento dagli stessi (e dall’Iran). Israele – pur con parecchi problemi interni - è disposta a concederle perché l’accordo con l’Arabia – precorso dagli Accordi di Abramo con gli Emirati, poi estesi ad altri Stati islamico/sunniti – ha una rilevanza enorme. Forse Israele ha rinunciato ad un’azione preventiva, come sua prassi, per non compromettere tali negoziati e per presentarsi come nazione aggredita di fronte all’Arabia. Ci sono altre ipotesi possibili in un’area medio-orientale dove ogni verità apre la porta ad una altra, diversa, ma chi scrive propende per quella detta avendo avuto modo di conoscere la profondità del pensiero strategico israeliano. Ovviamente non va escluso un errore come quello di essere stati colti di sorpresa dall’attacco egiziano nel 1973 durante la festività dello Yom Kippur. Lo capiremo meglio dal tipo di reazione israeliana, cioè dalle modalità di esecuzione dell’operazione “Spade di ferro” avviata dopo la dichiarazione del governo che Israele è in guerra. L’Egitto chiede ad Israele “moderazione”, la guida politica dell’Iran applaude l’attacco di Hamas. Evidentemente per Israele è un momento delicatissimo per capire come calibrare la forza. Se la usa al massimo, compromette la relazione con l’Arabia e forse con l’Egitto ed altri arabi con cui è in relazione iniziale. Se la usa al minimo, rischia di perdere sicurezza perché si dimostrerebbe debole.
Per tale motivo, visto il rilievo sistemico detto sopra della messa in sicurezza di Israele e regione circostante, chi scrive ritiene che l’Ue, o almeno le nazioni che hanno siglato l’accordo preliminare sulla Via del Cotone in formato di “collaborazione rafforzata”, debba/debbano fare un intervento forte, qui (senza pretesa di dare suggerimenti al governo in una situazione così delicata che richiede professionalità specialistica) ipotizzabile in 3 punti: a) estendere un ombrello di sicurezza europeo – o di alcuni sue nazioni più gli Stati Uniti che hanno già comunicato tale sostegno – su Israele; b) associare con un trattato specifico Israele all’Unione europea; c) formare un gruppo di contatto europeo che aggiunga una spinta all’accordo tra Israele e Arabia saudita. Complicato? Complicatissimo. Un qualche accordo dovrebbe essere fatto anche con l’Egitto. Bisognerebbe depotenziare l’influenza iraniana sia nell’enclave palestinese di Gaza, eliminando la componente filoiraniana che guida la sezione militare di Hamas, sia disincentivare gli Hezbollah in Libano a prendere posizioni conflittuali nonché segnalare limiti alla Siria. Molto complicato, poi, sarebbe fornire un incentivo all’Arabia per sostenere una frizione con il mondo arabo. L’Arabia sta chiedendo all’America capacità nucleare civile con l’ovvio intento di pareggiare quella militare iraniana (segretamente accelerata dalla Cina e dalla Corea del Nord) e a Regno Unito, Italia e Giappone di partecipare al programma di caccia di sesta generazione “Gcap” (Global Combat Air Program). La questione nucleare è un oggetto di gestione statunitense, pur annotando un tentativo francese di infilarsi. Per la questione Gcap, dove il Giappone è contro mentre Londra accetterebbe un ingaggio finanziario saudita, Roma potrebbe intervenire con una mediazione utile pur l’Arabia priva di competenze tecniche e forse affidabilità per le sue relazioni con Russia e Cina, ma rielaborabili. Difficile dire di più al momento, ma si può sottolineare l’utilità di strutturare un bilaterale fortissimo tra Israele ed Italia.