E’ utile estendere l’attenzione analitica portata da Claudio Antonelli, sabato scorso, sulle caratteristiche delle nazioni nell’area grigia tra i due blocchi – sinocentrico ed amerocentrico – in competizione globale tra loro per influenzarle e ottenere così una superiorità geostrategica perché in tale dinamica c’è un nuovo spazio espansivo per l’Italia. Diversamente dai tempi degli imperi coloniali, la maggior parte di tali nazioni collocate nella sfera islamica, Africa, Sud e Meso America e nel Pacifico, nonché nell’Asia centrale, non sono facili oggetti di conquista perché la loro soggettività politica è strutturata. Infatti è cambiato il concetto di conquista: dal dominio ad una relazione negoziale basata su un equilibrio tra dare e avere. Relazione complicata dal fatto che le nazioni non-allineate si rendono conto di avere un valore rilevante nei confronti dei due blocchi e quindi possono sia mercanteggiare con l’uno e con l’altro sia le più grandi (per esempio India, Brasile, Sudafrica, ecc.) pensare di poter formare un terzo blocco di raggio mondiale – denominato Sud globale – con forza maggiore sia della Cina sia dell’alleanza guidata dall’America. Tale tendenza non ha ancora concretezza, ma i numeri non la escludono: nei due blocchi vivono circa 3 miliardi di persone mentre nell’area grigia ce ne sono circa 5 sugli 8 complessivi del pianeta, con una tendenza demografica che tende a ridurre nel futuro i residenti in Cina ed Europa, nonché Giappone, a tenere in bassa crescita l’America mentre la popolazione del Sud globale avrà un enorme aumento di volume. Ovviamente la forza non è del tutto correlata alla quantità di popolazione – pur la grandezza di un mercato interno un fattore di competitività geopolitica - e le nazioni più sviluppate hanno un vantaggio economico e militare, cioè di potenza, su quelle in via di sviluppo. Ma tale vantaggio deve trasformarsi in inclusione del Sud globale in una delle due sfere in conflitto tra loro.
Dal 2007 fino a poco fa la Cina era in vantaggio. Nel 2007 convocò a Pechino un numero notevole di dittatori o comunque leader di regimi autoritari di Africa e Sudamerica offrendo loro investimenti infrastrutturali, l’importazione con privilegio di materie prime, soldi e armi, nonché la protezione del regime, in cambio di un allineamento con la Cina nazionalsocialista ed il voto all’Onu. L’America non contrastò questo movimento perché era concentrata sulle guerre in Iraq ed Afghanistan e aveva relazioni amichevoli, pur sorvegliate, con la Cina. Si limitò a dare luce verde al rinnovamento del programma nucleare indiano pensando di contrapporre un potere simmetrico all’espansione della Cina nel Pacifico. L’Ue non solo non mostrò alcuna reazione, ma interpretò lo scenario come motivo per stringere di più relazioni commerciali con la Cina, in particolare la Germania ai tempi mercantilista e neutralista (tralasciamo la vergogna sinofila del governo Conte perché è in riparazione). La reazione statunitense iniziò nel 2013 contrapponendo un’area di mercato amerocentrica a quella sinocentrica. Ma il progetto non si realizzò per la difficoltà degli Stati Uniti a cedere anche un piccolo pezzo di sovranità per costruire sistemi integrati di mercato con gli alleati. Inoltre, sul lato europeo, la Germania non volle rinunciare al mercantilismo e la Francia rifiutò l’integrazione tra mercato europeo ed americano. La Cina fronteggiò il disegno statunitense lanciando il progetto Via della seta – di fatto politico con scopo la conquista totale dell’Eurasia – che ebbe iniziali successi ed adesioni. Solo nel 2017 l’America dichiarò la Cina come nemico ed iniziò a contenerne l’espansione globale, anche dando botte pesanti alla Germania (caso del Diesel, pressione per tagliare la dipendenza energetica dalla Russia, ecc.) che ormai dipendeva dal mercato cinese. Ma solo nel 2021 Washington avviò una “reconquista” del Sud globale ed una compressione più forte del potere cinese, aumentata nel 2023 pur cercando di evitare conflitti diretti con Pechino. Al momento l’America ha ottenuto una certa compattazione del G7 per questa azione – pur Francia e Germania meno convergenti – ha avuto un successo parziale nello spostare a suo favore la neutralità indiana ed un insuccesso, finora, nell’ottenere lo stesso con l’Arabia (che chiede armi nucleari) e con il Brasile nonostante il sostegno dato a Luiz Lula che promuove il Sud globale sperando di diventarne leader. E’ evidente che l’America non ha forza e forse metodo sufficienti per penetrare la parte fatta di grandi nazioni dell’area grigia. Ma per confermarlo bisogna aspettare la prossima Amministrazione, nel gennaio 2025, perché quella Biden è troppo indecisa.
Tuttavia, è già visibile che l’America ha ed avrà bisogno di una maggiore proiezione globale delle nazioni del G7. Quella di Germania e Francia non è del tutto affidabile. Quella di Londra è indebolita pur non irrilevante. Quella del Giappone ha un potenziale robusto, ma concentrato sul Pacifico. Quella dell’Italia è affidabile, ma dovrebbe avere più risorse, e si caratterizza per un metodo contrattuale con le nazioni emergenti molto efficace: riesce ad equilibrare il dare ed avere e farsi percepire come partner onesto a cui dare fiducia, cosa per esempio quasi impossibile per la Francia. Ciò, appunto, apre uno spazio notevole per la proiezione globale dell’Italia sia per utilità unilaterali sia come punta del G7. Già sono decine i partenariati costruiti con successo dal governo. Due suggerimenti: a) concentrarsi sulle piccole nazioni dell’area grigia per consolidare collaborazioni; b) spostare i fondi nazionali della cooperazione estera, circa 4 miliardi, da impieghi multilaterali a quelli di interesse nazionale, soprattutto in Africa.