E’ unanime il coro nel mercato finanziario e nella maggioranza degli economisti che critica così il recente rialzo dei tassi (+ 25 punti base) da parte della Bce e la dichiarazione del suo presidente Christine Lagarde di un possibile nuovo rialzo a luglio della stessa entità: sottovalutazione del rischio di recessione nell’Eurozona e sopravalutazione di quello inflazionistico. Il titolo di un’analisi fatta dalla banca Morgan Stanley al riguardo della Bce descrive il clima: “Lost in projections” (dispersi negli scenari proiettivi). Una battuta simile potrebbe farla Banca d’Italia le cui proiezioni si differenziano molto da quella della Bce e di altre Banche centrali “cugine” nell’Eurosistema sul piano del ritmo di disinflazione e sulla postura in relazione ai tassi: gradualità, pausa e attesa dei dati per fare decisioni realistiche in base all’effetto differito dei rialzi attuati. Come è nato questo pasticcio? Come si potrà evitare una non necessaria depressione economica nell’Eurozona ed in Italia?
Alcuni esperti di procedure della Bce segnalano che in due trimestri all’anno le proiezioni sono guidate dallo staff interno della Bce stessa mentre in altri due prevalgono gli scenari degli istituti nazionali facenti parte dell’Eurosistema. Evidentemente le decisioni di giugno sono state influenzate dalla Bundesbank super rigorista. Va subito detto che quelle di settembre saranno di nuovo nelle mani dello staff Bce, che appare meno pregiudizialmente falco: quindi la pressione della Bundesbank per un catastrofico terzo rialzo in autunno non dovrebbe passare. Ma immaginatevi una Banca centrale che cambia analisi due volte all’anno per motivi ideologici e non tecnici, in un conflitto tra “idealismo monetario” di scuola tedesca (la difesa della stabilità monetaria è un valore superiore a quello dell’occupazione) e “pragmatismo/realismo” (bisogna armonizzare rigore e sviluppo analizzando bene e non strumentalmente i dati). Domanda alla signora Lagarde: ma si rende conto che questo formato decisionale crea volatilità nelle previsioni, facendo perdere credibilità all’istituzione? Che la Bce sia un luogo più politico che tecnico è sensazione diffusa. Ma Mario Draghi ebbe capacità politiche di armonizzazione perché in possesso di una forte cultura tecnica. La signora Lagarde ha probabilmente capacità politiche, ma forse una minore cultura tecnica che le impedisce di produrre una leadership che componga i conflitti interni. Questa è solo un’ipotesi che deve essere calibrata in relazione all’enorme complessità che la politica monetaria deve gestire in questo periodo. Tuttavia, è un problema di conduzione della più impattante direttamente sulle nostre tasche istituzione europea che richiede soluzioni.
In materia di soluzioni, però, ha priorità il disinnesco della “bomba depressiva” che potrebbe cadere sulle nostre teste, particolarmente in Italia. Lo scenario mostra la concentrazione a luglio di molteplici restrizioni economiche: l’ipotesi di un secondo rialzo di 25 punti in combinazione con la fine dei riacquisti dei titoli di debito nel bilancio della Bce comprati nell’ambito dei programmi di reflazione sia pandemici sia stimolativi negli anni passati e con il rientro dei prestiti (per scopi di facilitazione del credito) fatti alle banche a tassi minimi in base al programma “Tltro” nonché con una pressione sulle banche stesse per ridurre il credito ad imprese e famiglie. In sintesi, un drenaggio massivo di liquidità nel sistema che produrrà, e già sta producendo, un forte rallentamento della crescita nell’Eurozona e un problema addizionale per l’Italia in relazione all’aumento del costo di rifinanziamento del debito che toglierà risorse per gli impieghi produttivi (detassazione e/o investimenti) nel bilancio statale. Per inciso, la Bce ha varato il programma “Tpi” finalizzato al contenimento dei differenziali di rendimento (spread) tra titoli di debito dell’Eurozona, e ciò è una protezione ipotetica del debito italiano contro attacchi speculativi, ma non necessariamente un calmieratore del costo di rifinanziamento: infatti il governo italiano sta mostrando una tendenza ad aumentare il possesso del debito da parte di italiani: comprensibile, ma la nazionalizzazione del debito pubblico, per esempio praticata in Giappone, mostra possibili effetti distorsivi ed un paradosso: alla cessione della sovranità monetaria non corrisponde la protezione di un prestatore europeo di ultima istanza.
Come detto sopra, è evidente la sottovalutazione dei rischi recessivi combinata con una valutazione eccessiva di quelli di inflazione. In Italia le famiglie sono massacrate dall’aumento dei mutui, le piccole imprese iniziano a soffrire della combinazione tra rallentamento economico e restrizioni del credito. Ciò aumenta la probabilità di minor capacità per i consumi e di stress per le piccole imprese dipendenti dal credito bancario, il tutto in un momento di recessione dell’economia anche per cause non monetarie. E tale stretta dei tassi avviene entro una tendenza di riduzione dell’inflazione, rendendo inutilmente esagerata la stretta stessa. In conclusione, una proiezione realistica dei dati suggerirebbe di non alzare ancora tassi a luglio, aspettando metriche aggiornate per le proiezioni in autunno, eventualmente alzando ancora i tassi stessi se necessario, ma non oltre il tetto del 3,75% che sembra un punto di equilibrio “deideologizzato” tra disinflazione e rallentamento economico non depressivo, meglio se di meno