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Carlo Pelanda: 2023-6-11La Verità

2023-6-11

11/6/2023

L’Occidente tra realismo pragmatico e strategico

In una conferenza a Boston Mario Draghi ha sottolineato che se l’Ucraina perdesse la guerra contro la Russia ciò sarebbe un disastro per l’Ue. Chi scrive concorda. Ma tale scenario stimola due domande.  Qual è la condizione di vittoria per Ucraina, Ue e Nato? Qual è la scelta politica che la determina: realismo pragmatico o strategico?

La formula del realismo pragmatico tende a congelare un conflitto per ridurre i rischi di un attore geopolitico nel presente, ma tende a trasferirli nel futuro. La formula del realismo strategico si basa su una visione opposta: chiudere subito una fonte di rischi via proiezione di potenza sufficiente per impedire che i rischi stessi si attualizzino nel futuro. Una delle due formule è applicabile sempre? No, in alcuni casi è necessario il realismo pragmatico, in altri quello strategico. In tutti i casi, comunque, ambedue le astrazioni che sono motori di strategia applicata devono subire variazioni. Nel caso russo-ucraino, dal lato delle democrazie, sembra che la variazione sia una denominabile come “realismo strategico limitato”: sostenere una vittoria ucraina che però non superi i confini che la Russia difenderebbe con un’escalation bellica. Il più recente segnale da Kiev apre – tra le righe – a questa possibilità pur mantenendo la retorica di liberazione totale del territorio per poi eventualmente negoziare. Tale “fessura” è imposta dalla pressione alleata su Kiev che le concede sì una vittoria, ma nel limite di non oltrepassare linee rosse. In tal senso sembra che la linea di “realismo strategico, ma limitato” poi possa aprire uno scenario di “realismo pragmatico”, cioè di congelamento del conflitto. Il pensiero strategico ucraino appare ribellarsi a questo limite organizzando mosse audaci oltre “linea rossa”. Per esempio inviare cittadini russi anti-regime entro i confini russi (Belgorod) ricorda la mossa del generale Ariel Sharon, nel 1973: quando gli egiziani superarono il canale di Suez creando teste di ponte nel Sinai ai tempi israeliano, lui fece lo stesso portando una colonna corazzata quasi alla periferia della capitale egiziana, Il Cairo. Gli americani, con i russi concordi, dovettero congelare tutto per evitare un’estensione incontrollabile della guerra, ma la mossa di Sharon permise ad Israele di gestire il congelamento come parte “non sconfitta”. Probabilmente gli strateghi ucraini stanno pensando ad una qualcosa di simile: sanno che dovranno frenare le loro ambizioni se vogliono il sostegno statunitense e dell’Ue, ma non vogliono una formula di congelamento che riconosca il cedimento alla potenza russa. Né vogliono un congelamento che poi permetta a Mosca di riprendere fiato e riorganizzare un potenziale offensivo (convenzionale). In questo sono sostenuti dalle nazioni baltiche e da Londra che ha una postura di loro protettore. Ciò impedisce al complesso Nato di fissare riservatamente con la Russia un congelamento perché molti europei orientali e nordici, sentendosi minacciati, divergerebbero, riducendo la coesione della Nato stessa. Ciò, secondo chi scrive, spiega la posizione di realismo strategico variato, cioè con limiti, entro un interesse dell’alleanza ad applicare, ad un certo punto, il realismo pragmatico. Ma a quale condizione di vittoria potrebbe portare? Ad una “non sconfitta”  dell’Ucraina e dell’Ue e Nato, rafforzata dal fatto di aver contenuto l’aggressività del gigante russo, ma non ad una vittoria su Mosca, questa intesa come ritiro dalle zone occupate dell’Ucraina. Al momento sembra il miglior esito, ma se così il rischio di nuovi conflitti sarà trasferito al futuro. Per mitigarlo l’Ue dovrà sostenere maggiori costi sia sul piano della deterrenza sia su quello del sostegno all’Ucraina che manterrà comunque lo status di zona a rischio bellico. Scenario non ottimale, ma non se ne vedono di migliori, realistici, al momento.

La Russia a conduzione Putin ha capito che non potrà sfondare il fronte ucraino e probabilmente cercherà di spostare l’espansione della propria influenza – il mito di ricostruzione dell’impero è necessario per mantenere la coesione interna – nell’Artico ed in Africa con puntate in Sudamerica in relazione sempre più cooperativa e sempre meno competitiva con la Cina. Nel bipolarismo della Guerra fredda l’America adottò la formula strategica del “contenimento” (impedire l’espansione del nemico, ma senza confronti diretti) cioè un “realismo strategico dinamico” finalizzato all’equilibrio tra potenze, ma regolato dalla deterrenza. Tale dottrina tentò e tenta di far convergere riduzione del rischio nel presente (realismo pragmatico) con quella nel futuro perseguendo l’assenza della guerra pur mostrando la preparazione e disponibilità a farla (realismo strategico). Ma tale dottrina ibrida fu possibile perché l’America possedeva una superiorità netta globale che ora è sfidata dal blocco sinorusso. E Pechino lo fa pesantemente, rifiutando colloqui strategici sinoamericani, volendoli limitare ai soli aspetti commerciali. Pertanto prende probabilità lo scenario dove l’America e l’alleanza delle democrazie non potranno più usare la strategia del “contenimento” come nel passato, ma dovranno innovarla aumentando la deterrenza, cioè inclinandola verso il “realismo strategico”, e la (geo)concorrenza per sottrarre parti di mondo al blocco avversario. In conclusione, chi scrive ritiene che se si ripristina il dominio globale delle democrazie sarà possibile calibrare i due realismi, pragmatico e strategico, permettendo il primo, che mitiga le guerre, con una capacità di gestire i rischi trasferiti al futuro via deterrenza continua. Costerà di più agli alleati per integrare la forza ed il presidio statunitensi, ma l’alternativa è il cedimento di fronte ai regimi autoritari che sarebbe caso peggiore e più costoso.

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