Il sostegno bellico, politico e materiale che le democrazie devono e vogliono fornire all’Ucraina non deve far dimenticare che in prospettiva futura l’evitare una satellizzazione della Russia da parte della Cina è un interesse vitale per le democrazie stesse: la Cina nazionalsocialista è il vero e più pericoloso nemico dell’Occidente allargato. Inserire questo tema nel dibattito pubblico odierno appare stonato perché potrebbe suonare come un’apertura al regime di Vladimir Putin. Non è così nell’analisi e nelle intenzioni di chi scrive: fino che tale regime autoritario colpevole di crimini di guerra e sospettabile di aggressività illimitata resterà al comando non c’è possibilità di vera trattativa pacificatrice, ma solo di una politica di forte deterrenza. Tuttavia, è possibile una limitazione della guerra cinetica - non a danno dei diritti dell’Ucraina sanciti dalla Carta dell’Onu - nel breve/medio termine che poi predisponga un più lento processo di distacco tra Cina e Russia, impedendo alla prima di prendere il dominio dell’Eurasia con grave rischio di pressione condizionante per la piccola, in proporzione, Ue. Per inciso, chi scrive spera che Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, non abbia dimenticato, nella sua specificazione che il Vaticano sta organizzando un’operazione di pace, pur non di mediazione, l’articolo di (San) Giovanni Paolo 2° pubblicato sulla rivista “Vita e pensiero” nel 1977: un’Europa estesa agli Urali, in realtà intendendo un’Europa da Lisbona a Vladivostok. Il punto: pur nel rispetto del Vaticano, che è il terzo impero globale dopo America e Cina, chi scrive ritiene di tentare una interpretazione di tale “cultura pro-pace” che non sia pro-Cina e a favore delle democrazie.
Nei primi anni 70, Henry Kissinger, ai tempi Segretario di Stato degli Stati Uniti, ebbe un’idea da grande maestro di geopolitica qual era (e quale ancora è a 100 anni dì età): staccare la Cina dalla Russia sia per ridurre la potenza della seconda sia per chiudere il conflitto erosivo in Vietnam. Nel substrato c’è un evento poco noto ai più. In colloqui riservati con Germania e Giappone (nel formato informale “Library Group”) chiese a questi principali alleati se volessero spendere di più per contribuire alla sicurezza mondiale e per il traino dell’economia internazionale perché la locomotiva americana non ce la faceva più a sostenere il traino di tutti i vagoni. L’idea fu codificata come “passaggio dalla gestione singola del pianeta ad una collettiva”. Ma Germania e Giappone si dissero impossibilitati a farlo. Allora Kissinger decise di demoltiplicare lo sforzo statunitense dividendo il nemico e chiudendo il conflitto vietnamita. Tale mossa lanciò nel mondo la Cina, ma per un errore successivo di Bill Clinton: permise a Pechino di accedere al mercato internazionale in modi sleali senza condizioni di buon comportamento. In tal modo il deficit commerciale statunitense alimentò l’emergere di un impero cinese con capacità di sfida a quello americano. Grande errore storico. Ma resta valida la logica di Kissinger: dividere il nemico allo scopo di spendere e rischiare meno per contrastarlo. Nel prossimo futuro tale logica va applicata staccando la Russia dalla Cina.
Chi scrive propose una convergenza tra democrazie e Russia nel libro “La Grande alleanza” (Angeli, 2006) e nella sua versione in Inglese (2007). La motivazione era la strategia per vincere il conflitto tra Capitalismo democratico ed autoritario, per inciso aggiornata nel recente libro “La riparazione del capitalismo democratico” (Rubbettino, 2021). Ma in molteplici presentazioni ad élite statunitensi – Amministrazione Bush - emerse il timore di un asse eurorusso, guidato dalla Germania e dalla Francia, che avrebbe staccato L’Ue dall’America: non era né è russofobia, ma interesse geopolitico. Ora, tuttavia, il potenziale di divergenza franco-tedesca si è ridotto, pur restando latente. Ciò potrebbe permettere ad europei ed americani, includendo Londra e Tokyo, di iniziare a pensare congiuntamente ad uno scenario post Putin dove una nuova conduzione della Russia potrebbe contrapporsi alla Cina, esercitando un bilanciamento di poteri nell’Asia centrale, nonché spostare la propria deterrenza ora verso Ovest, invece, verso la Cina. Tali pensieri non sarebbero applicabili fino a che dura il regime di Vladimir Putin, ma potrebbero portare alla seguente posizione, per intanto comunicativa: la guerra non è contro il popolo russo, postura che cercherebbe di limitare le morti dei russi (e ucraini) sui campi di battaglia, salvi ovviamente i requisiti di difesa dell’Ucraina. Qualcuno potrebbe dire che il popolo russo, soprattutto nelle zone rurali, è con Putin. Dati recenti non taroccati dagli “influencer” del regime, però, mostrano che è decrescente. Dalle élite russe arrivano segnali informali di disagio per la dipendenza crescente da Pechino e per l’avanzata cinese in Asia centrale infischiandosene di Mosca. Per altro, la Cina non considera ancora affidabile la Russia e la lascia fuori dagli investimenti, preferendo portarla allo stremo, cioè alla sudditanza, prima di concedere qualcosa a proprio totale vantaggio. Pertanto il potenziale di distacco c’è. Pechino sta difendendo il regime di Putin, ma anche predisponendo opzioni per assicurarsi che nel dopo Putin emerga un regime sinoconvergente. La risposta occidentale a questa azione è quella di assicurare ai russi “del dopo” che verrà lasciato loro l’essere un impero perché la sovranità russa è uno strumento anticinese, se riorientata. E che sarà possibile rivedere le sanzioni economiche. In conclusione, c’è uno spazio informale per iniziare a pensare a un futuro di “non conflitto” con la Russia che in qualche modo retroagisca sul presente per almeno limitare gli eccessi bellici, favorendo il distacco tra Russia e Cina nel futuro stesso.