La politica estera italiana ha trovato un nuovo attivismo all’epoca del governo Draghi per la necessità di sostituire le forniture di gas dalla Russia con altre, a vasto raggio. Un dato rilevato da pochi è che la funzione estera italiana – ministeri, ambasciate, intelligence, Eni, Leonardo, ecc. – ha sostenuto in modo molto efficace tale strategia, facendo scoprire un potenziale di azione globale dell’Italia molto più ampio di quanto creduto. Il successivo governo Meloni ha colto tale potenziale, trasformandolo in un progetto di “Global Italy” ora in esecuzione con eventi multipli di successo preliminare. Tale postura (post-mercantilista) di Roma sollecita una riflessione economica: a quali condizioni i vantaggi dell’azione estera potranno dare impulso alla ricchezza nazionale?
Sia nel metodo Mattei sia in quello dei partenariati strategici bilaterali l’Italia deve dare per avere. Ma quanto può dare ottenendo un margine misurabile a livello di Pil? Ovviamente, dipende da quanto l’azione estera comporti vantaggi espansivi per le imprese italiane. Tale criterio implica selettività nella scelta sia delle nazioni chiave dove investire sia di quelle con cui sviluppare partenariati strategici bilaterali. La scelta delle prime è condizionata anche da fattori di necessità: sicurezza, energia e materiali critici. Qui prevale il criterio di ridurre i costi di importazione lavorando su due leve: sistemica, cioè abbassare i prezzi via accordo “G to G” e contratti duraturi, e analitica, cioè bilanciare il costo di investimenti che rassicurano una nazione fornitrice con appalti per imprese italiane. Dai dati preliminari appare che il governo riesca a seguire questa linea. Ma ci sono limiti di scala a ciò che l’Italia può fare sola: per espandere tali limiti sono necessari partenariati strategici che facciano da leva espansiva. Con chi? L’Ue è un partner necessario perché ha la titolarità dei trattati esterni di libero scambio. Ma per ottenere l’effetto di vantaggio sistemico dalla postura “Global Italy”, Roma deve puntare a partenariati extra Ue che siano veri moltiplicatori. Certamente lo è, dopo quello con il Giappone, in attesa del più importante con gli Stati Uniti, il partenariato strategico con il Regno Unito che è in negoziazione ed in prossima rifinitura nell’incontro bilaterale tra Roma e Londra. Alla seconda interessa ampliare la sua presenza economica nell’Eurozona e trovare un partner interno che spinga un futuro trattato di libero scambio tra Ue ed UK. La prima ha interesse a convergere con la seconda per prendere posizione consolidata nell’Indo-Pacifico e portare le opportunità italiane in contatto con la piazza finanziaria londinese che mantiene un ruolo di attrattore primario di capitali globali, priorità assoluta, soprattutto, per il venture capital. In sintesi, Londra è il partner migliore per la moltiplicazione degli interessi globali dell’Italia. E viceversa. Next? Australia.