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Carlo Pelanda: 2023-4-23La Verità

2023-4-23

23/4/2023

La limitazione della Cina non implica la riduzione dei commerci non strategici

Un recente discorso di Janet Yellen, ministro statunitense del Tesoro, ha suscitato molta attenzione perché ha mostrato una posizione contraria al disaccoppiamento tra le economie di Cina ed America: opposizione alla dottrina ufficiale dell’Amministrazione Biden; invito a Pechino di riprendere colloqui pacificatori; gioco delle parti? Per l’Italia è importante capire la vera posizione di Washington nei confronti della Cina, tema delicato sia nei rapporti con Francia e Germania sia con la Cina stessa che chiede a Roma il rinnovo (a fine anno) dell’accordo sulla Via della Seta irriflessivamente siglato da un governo precedente.

 A chi scrive il messaggio di Yellen sembra chiaro: l’America continuerà a negare alla Cina comunista l’accesso a tecnologie di superiorità; a costruire un argine militare alleato contro l’aggressività ed espansionismo di Pechino; a disincentivare gli investimenti di aziende statunitensi nella Cina stessa; a limitare la presenza di aziende cinesi condizionate dal Partito comunista nel mercato americano; ma non ha intenzione di ridurre troppo i flussi commerciali “non strategici” tra le due nazioni. Tale postura è nota fin dal 2021, quando l’Amministrazione Biden definì la strategia delle “3 C” verso la Cina: contenimento, competizione, ma anche cooperazione. E’ uscita Yellen da questo binario? No. Caso mai ha ricordato che nella postura americana c’è anche la cooperazione nel momento in cui il contenimento e la competizione hanno una maggiore evidenza. Lo ha fatto come messaggio rivolto alla Cina? Forse e se così questo potrebbe essere un precursore per una trattativa finalizzata a rimuovere i dazi posti dall’Amministrazione Trump all’import cinese (con l’intento di bilanciare i flussi via reciprocità commerciale e non di interromperli) al riguardo di materiali non strategici, che l’Amministrazione Biden non ha rimosso. Ma chi scrive ritiene che Yellen abbia voluto preparare gli alleati del G7 ad accettare la possibile proposta statunitense nel prossimo summit in Giappone di una forte restrizione (con sanzioni) degli investimenti verso la Cina: tale restrizione sarà selettiva e non distruggerà le relazioni commerciali non strategiche. Sembra più un messaggio rivolto alla Germania che non può ridurre troppo rapidamente la dipendenza dal – e la presenza nel – mercato cinese ed alla Francia che ha una posizione di mantenimento di flussi commerciali bilaterali elevati. L’Ue? La Commissione per bocca di Ursula von der Leyen ha detto chiaro e tondo a Xi Jinping che il trattato tra Ue e Cina sugli investimenti, siglato irritualmente a nome degli europei da Emanuel Macron e Angela Merkel con Xi stesso nel dicembre 2020, ma mai messo a ratifica, deve essere revisionato, cioè che è morto. Ma l’Ue è un dominio franco-tedesco con enorme spugnosità per l’approvazione di sanzioni e/o atti restrittivi verso l’esterno. Pertanto Washington ha scelto il G7 per ridurre la complessità di strutturazione del nuovo provvedimento anticinese che senza una convergenza degli alleati non avrebbe effetti. Confidando su cosa? Che Germania ed Italia, come Regno Unito, Giappone e Canada, certamente non si opporranno alla proposta americana, la prima avendo probabilmente negoziato riservatamente con Washington uno “spazio di deroga” nelle relazioni economiche con la Cina. Alla più divergente Francia verrà offerto il concetto che la volontà statunitense non è quella di ridurre i flussi commerciali non strategici con la Cina ed esasperare il disaccoppiamento, imponendolo agli alleati, ma solo quello di depotenziare la Cina su alcuni profili pericolosi. Questa materia è molto tratteggiata, oggetto di diplomazia riservata, e quindi non è ora possibile prevedere l’esito. Ma sembra che Yellen abbia voluto aprire una finestra più verso gli alleati (e gli attori di mercato) che verso la Cina.

Per inciso, va detto che Yellen ha espresso preoccupazioni tecniche da tempo presenti nei think tank: passare da un’economia globale trainata dai flussi binari sinoamericani ad una deglobalizzazione conflittuale troppo rapida potrebbe provocare una depressione mondiale. Inoltre, il blocco di importazioni cinesi a basso costo in alcuni settori porterebbe a più inflazione per i maggiori costi di produzione nelle democrazie (in realtà c’è ancora molta povertà nel mondo che potrà essere comprata per essere trasformata in efficienza, in particolare in India e in Africa). Va citata anche la preoccupazione, finora rimasta chiusa in alcuni centri di ricerca “di punta”, che una Cina troppo soffocata poi imploda (dal 2015 è in quasi implosione finanziaria da sbolla e nel 2023 il recupero visibile dell’economia interna non appare sufficiente) e che non ci siano nel mondo abbastanza soldi per tirarla su, con rischio di tsunami globale. Pertanto, un po’ di disaccoppiamento “sinolimitativo” è salutare, ma troppo sarebbe pericoloso per tutti pur la Cina ormai un organismo tossico.

La posizione di interesse nazionale dell’Italia? Convergere di più con l’America, accordarsi riservatamente con la Germania, lasciare che America e Germania riducano la divergenza francese. Il bilaterale con la Cina? Aspettare i risultati del G7 a presidenza giapponese, anche perché nel 2024 l’Italia presiederà il G7 stesso, come riferimento per il linguaggio di cancellazione del trattato con Pechino, ma sostituendolo con un accordo non strategico di consultazione commerciale. Il Quirinale? La sua utilità sembra quella di sorridere a Francia e Cina, ormai comportamento consolidato, per bilanciare diplomaticamente la linea nettamente pro-democrazia e pro-atlantica/indo-pacifica del governo qualora provocasse incidenti per gli interessi economici italiani

(c) 2023 Carlo Pelanda
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