La novità nella conduzione della Bce è l’annuncio che ha istituito una “funzione di reattività”, cioè uno strumento analitico che le permetta di valutare meglio i dati di andamento economico, in particolare l’impatto di una molto rapida transizione da una politica monetaria espansiva ad una restrittiva. Parecchi attori di mercato hanno ritenuto inevitabile fare una battuta, precorsa da un allarme da parte di Banca d’Italia: finora decideva a fari spenti? Ma chi scrive vuole vedere il lato positivo di questa posizione, cioè l’adeguamento pur a piccoli passi della Bce al realismo contro l’idealismo monetario di scuola tedesca. Il tema è la funzione di “prestatore di ultima istanza” in caso di crisi sistemica dove la Bce mostra i maggiori difetti, non tanto o solo per colpa propria, ma perché deve gestire un’area monetaria molto sub-ottimale. Lo scopo di questo articolo è sollecitare un’estensione delle sue attenzioni anche alla funzione di “ultima istanza” che è parte di quella di “reattività”.
In un’area ottimale, semplificando, l’effetto di una moneta unica su territori economicamente diversi viene bilanciato da un centro unico di politica fiscale e la politica fiscale stessa converge con quella monetaria per sostenere e ripristinare la fiducia in situazioni di emergenza. La certezza che esista una tale funzione, e la prova che funzioni ragionevolmente bene, fornisce fiducia al mercato e, anche se non previene necessariamente le crisi finanziarie (oggetto di attenzione prevalente da parte delle autorità di vigilanza) che poi tendono a trasformarsi rapidamente in recessioni o peggio, le attutisce e/o le rende brevi. L’America è un buon esempio di area monetaria “quasi ottimale”. Il “quasi” dipende dalla scelta di non regolare troppo il sistema finanziario/bancario per lasciargli uno spazio di libertà utile all’impulso dell’economia innovativa alimentata da capitale di rischio dove questo spazio stesso, però, non trova facilmente un confine chiaro con l’azzardo. Tuttavia, proprio la presenza di questo rischio (azzardo morale in cambio di vitalità economica/crescita) spinge le istituzioni ad essere rapidissime negli interventi di riparazione/tamponamento delle crisi, come si è visto in quella recente di alcune piccole banche. Il “quasi” indica che il necessario realismo non permette una configurazione idealistica del sistema, cioè il pieno ottimo. Ma la scuola pragmatica anglofona che non punta ad eliminare del tutto il rischio, ma è pronta a mitigarlo e se si attualizza ad eliminarlo, è un buon riferimento di modello secondo l’opinione di chi scrive.
L’Eurozona non è nemmeno un’area monetaria quasi ottimale: è talmente sub-ottimale da chiedersi come farà ad avere un destino positivo. Il problema principale è che alla moneta unica non corrisponde un ministero del Tesoro altrettanto unico che bilanci con politica fiscale compensativa gli squilibri dovuti all’applicazione della moneta unica stessa in economie diverse e che, più importante nelle contingenze, metta il debito delle nazioni partecipanti all’euro in un unico contenitore. Infatti c’è un’assurdità: i debiti nazionali espressi nella stessa moneta hanno gradi di rischio diversificati, gli “spread”, indicando che non c’è un solo euro, ma tanti euro. Questa roba non può stare in piedi. Nel 1997-98 (l’euro fu formalizzato nel 1999) la posizione tedesca (sostanziale) fu che poteva stare in piedi se tutte le economie dell’Eurozona fossero state simili a quella tedesca e con poco debito. Quella nominalistica, cioè di consenso fra tutti, indicava la necessità prospettica di una confederazione europea con Tesoro unico (unione bancaria, mercato integrato dei capitali, ecc.) per avvicinarsi ad un’area monetaria ottimale. Ma non c’è segno di tale percorso, pur essendo visibile una certa convergenza: le nazioni non vogliono cedere sovranità al punto di diventare regioni sub-nazionali di una sovranità europea. Pertanto l’Eurozona resterà un’area molto sub-ottimale a lungo. Cosa fare? La Bce ha mostrato di capire di dover gestire una missione impossibile ed ha iniziato da tempo a forzare il proprio statuto oltre i suoi limiti, per esempio i diversi programmi di acquisto di debiti nazionali per bilanciare crisi pandemica, deflazionistica, ecc., riducendo l’idealismo monetario a favore del realismo, mettendo in minoranza la Germania. Nei modi di comprendere di chi scrive, ciò mostra una tendenza a rafforzare la funzione di prestatore di ultima istanza (e la vigilanza bancaria) per bilanciare la vulnerabilità dovuta ad euri differenziati nazionalmente e all’applicazione di una formula ancora non strutturata di mix tra rigore e garanzia per non differenziarli troppo. Ciò fa intravedere una via per tenere in piedi un euro zoppicante per qualche tempo, fino ad una soluzione veramente stabilizzatrice (secondo chi scrive la convergenza euro/dollaro): (a) strutturare meglio la funzione di ultima istanza per ridurre gli spread, mostrando al mercato che se anche gli euro nazionali sono differenziati, a qualsiasi crisi di uno risponderebbe l’intero eurosistema; (b) creare un programma che sostenga con facilitazioni la dedebitazione delle nazioni invece che imporla.
Il punto: qualora Bce ed Ue prendessero questo sentiero realistico, il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) sarebbe una protezione di livello molto inferiore a quello di una funzione più strutturata di garanzia di ultima istanza diretta nella Bce e indiretta nell’Ue. Tale argomento – l’euro ciofeca ha bisogno di una protezione più forte di quella data dal Mes – se ben sviluppato tecnicamente dall’Italia trasformerebbe la sua divergenza corrente in materia di approvazione del Mes stesso in stimolo realistico a progettare un sistema migliore, dentro la Bce.