Ecofuturizzazione. Questo articolo è indirizzato a Vittorio Sgarbi affinché spinga ancor di più il governo a capire la relazione tra bellezza e competitività territoriale; alla comunità degli archeologi e restauratori, nonché storici, affinché trovino un modo per esaltare la storicità residente (da almeno 7.000 anni) nel territorio italiano, trovando modi per fare emergere visibilmente la sua caratteristica di “macchina del tempo”; alla comunità della scienza delle costruzioni e della ricerca di nuovi materiali, nonché urbanisti, affinché creino innovazioni d’avanguardia mondiale negli habitat italiani, anche combinandoli con la sicurezza contro catastrofi; alla comunità delle scienze fisiche e chimiche, e delle applicazioni agritech, affinché costruiscano una visione combinata di “Italia pulita” e di “indipendenza energetica”, ampliando i potenziali dell’”economia circolare”; alla comunità dell’ingegneria informatica e spaziale affinché venga costruita nel tempo una mappa computerizzata, ad aggiornamento periodico, del sistema territoriale, urbano e naturale, (Homit, Modello olistico dell’Italia) che permetta di integrare tutte le azioni, nei prossimi decenni, capaci di rendere speciale (ed eco-sicuro) il territorio italiano perché ne verranno integrate estetica, funzionalità, pulizia, storicità e supertecnologie in un complesso ad alta efficienza in grado di tenere ancorati ad un minimo i costi di viabilità del territorio. La visione che chi scrive desidera proporre è quella di un programma nazionale di almeno 50 anni guidato da una logica sistemica, cioè dalla sintesi tra molteplici innovazioni (multi)disciplinari.
Questo stimolo parte da un’analisi realistica dell’evoluzione della competitività territoriale nel mondo (non è solo tra nuove megacittà) in una situazione in cui è massima la mobilità delle persone e per attrarre quelle con maggiori competenze, fenomeno collegato all’attrazione di capitale di investimento, affinché contribuiscano all’aumento della concorrenzialità delle unità economiche residenti sul territorio italiano: la qualificazione del territorio comporta, via attrazione, potere cognitivo che poi si estende alle unità economiche impegnate nella concorrenza globale nonché flussi turistici che a loro volta alimentano la crescita del mercato interno. Inoltre, l’analisi globale dei potenziali territoriali vede l’Italia come il territorio che ne ha il maggiore, e per certi aspetti esclusivo. Ma non è ancora sfruttato, pur il marchio Italia oggetto di sostegni e di attente tutele, ed il territorio presenta vulnerabilità irrisolte di vario tipo. Chi scrive pensa ad un programma lungo, ma il cominciare subito a strutturane dei pezzi porterebbe utilità ed accelerazione del programma stesso. Dovrebbe essere un programma nazionale o concordato con l’Ue? Certamente nazionale perché, appunto, per la specificità del territorio italiano, in particolare dell’ambiente costruito e della relazione città/campagna dove da ogni campo, con eccezione dei latifondi, si intravede la torre di un qualche borgo (conseguenza della centuriazione di epoca romana). Tale specificità è poi culturale: la piccola impresa trova base sull’antica prassi della mezzadria, la tradizione delle repubbliche marinare rende naturale esplorare il mercato globale, l’antichità dell’artigianato lo rende di particolare ed unica qualità nel presente, ecc. Ovviamente ci sono similitudini in tante altre nazioni, ma queste riguardano aspetti settoriali e non quell’unicum che invece si vede in Italia. Non sarebbe opportuno divergere dall’Ue, ma neanche seguire i suoi standard: è un pensiero italiano, o di chi da fuori capisce la particolarità italiana, che può sfruttare i potenziali di questo territorio unico. Il programma dovrebbe essere, sì, nazionale, ma aperto. A chi? A chi vuole sperimentare. Che cosa? L’accostamento tra futurizzazione urbana e storicità; sistemi di ecoadattamento per rendere invulnerabili le strutture e infrastrutture alle variazioni climatiche in modo combinato ai terremoti e fenomeni alluvionali; l’armonizzazione tra estetica e funzionalità degli spazi; la rigenerazione funzionale, energetica ed estetica degli edifici costruiti in fretta durante la mega-migrazione dalle campagne alla città negli Anni 50 – 60; l’adattamento degli edifici storici ad ospitare attività produttive nel rispetto della conservazione degli stessi; un maggiore uso del sottosuolo per la viabilità urbana; la creazione di un ciclo che ricavi biogas, poi trasformabile in idrogeno verde, a partire da rifiuti organici urbani ed agricoli, trasformandoli da costo in materia prima con valore; un ciclo delle acque anche alimentato da desalinizzatori per assicurare abbondanza in periodi di siccità, con l’estetica di spruzzi d’acqua e di pioggia dal basso “arcobalenica”; coperture con terreni messi a giardino di zone industriali; cristalli luminescenti per arricchire l’arredo urbano; ecc.
Fantasie, fantascienza, sottovalutazione dei costi, ecc.? Le tecnologie di base ci sono e ciò fa prevedere sviluppi futuristici. Il modello economico va studiato, ma considerando che in ogni caso il sistema esistente richiede spese di manutenzione e che queste possono essere reindirizzate al programma di ecofuturizzazione. Divieti per forzarla? Nessun divieto, ma solo incentivi e formule finanziarie innovative (anche motivo per rifiutare forzature “divietiste” dell’Ue). Incentivi come? Per esempio un prestito irredimibile allo Stato di 60 anni, con buon rendimento nel periodo in cambio del non ritorno del capitale prestato (cosa che esclude la cifra dal computo del debito pubblico) riservato a solo a cittadini italiani. C’è una relazione reciprocamente amplificante tra bellezza, conoscenza e ricchezza del territorio.