Nel lontano 1996 chi scrive partecipò ad un seminario organizzato dal Tokyo Colloquium e dal quotidiano Yomiuri Shinbun dove il tema sostanziale fu se il Giappone dovesse prendere una direzione “asianista” o restare agganciato in modo privilegiato all’America. Nella sala si toccava la tensione tra i rappresentanti dell’industria che puntavano sull’emergere della potenza cinese penetrandone il mercato e chi era più prudente nonché tra i primi e l’establishment politico in fase di riflessione strategica. Lo scrivente propose una strutturazione più forte dell’alleanza G7 dandole una base economica come mercato globale delle democrazie ad integrazione crescente. L’idea colpì e fu citata in prima pagina dallo Yomiuri. Invitato dal Keidanren (associazione industriali) a chiarire in colloqui privati tale scenario, lo scrivente mostrò che la direzione geopolitica suggerita sarebbe stata più conveniente per Tokyo in generale e, in particolare, per avere più forza negoziale con la Cina, utile per l’insediamento comunque necessario in quel mercato. Nell’occasione lo scrivente ricevette l’informazione che gli investimenti pubblici nipponici in tecnologia restavano di grande volume nonostante la crisi di stagnazione iniziata con la “sbolla” del 1992.
Ora Tokyo ha preso decisamente una postura attiva nel G7, avviato un riarmo proiettivo motivato dalle minacce nell’Indo-Pacifico e dirette (Corea del Nord) ed un aggancio economico maggiore con le altre democrazie. Tale svolta è stata precorsa da passi intermedi nei due ultimi decenni che hanno portato il Giappone verso una posizione “pilastro” nel Pacifico. Anche non timida nei confronti dell’America: quando Trump tolse gli Stati Uniti dal trattato economico “Tpp” siglato da Obama e ratificato dal Congresso, il Giappone lo mantenne in vita tra 10 nazioni del Pacifico, siglò un trattato di libero scambio con l’Ue (con vantaggio per l’export italiano) che voleva anche essere un segnale all’America. E quando questa accettò un accordo economico bilaterale, Tokyo pretese che mai più Washington avrebbe usato la minaccia dei dazi contro l’alleato. Per il riarmo di superiorità, il Giappone ha fatto una mossa sorprendente: invece che dipendere esclusivamente dall’industria militare americana ha unito il suo programma “F-X” per una piattaforma aerea di sesta generazione al “Tempest” anglo-italiano, ora “Gcap”: tale integrazione promette decine di nuove supertecnologie ed una ricaduta nel mercato civile dei tecnoderivati. La dichiarazione congiunta Meloni – Kishida che la relazione bilaterale è stata elevata a “livello strategico” è molto promettente per Roma perché le apre via Tokyo ed un montante concetto di Nato globale un accesso potenzialmente privilegiato al Pacifico, considerando anche l’Australia. Va segnalato agli attori finanziari e industriali italiani che questa novità geopolitica apre nuove vie per co-investimenti