L’Italia è una potenza politica medio-piccola, ma ha interessi economici globali. Per moltiplicare la forza nazionale Roma partecipa da decenni a due alleanze sistemiche: Nato, in relazione privilegiata con l’America, e Ue. La prima serve a darle capitale politico per cercare di compensare la diarchia franco-tedesca, la seconda, oltre che per l’accesso tutelato da trattati al mercato europeo, serve a prendere rilevanza agli occhi dell’America come “cuneo atlantico” affinché l’Ue non prenda la direzione perseguita dalla Francia - pur la Germania frenante, ma non del tutto - di una “sovranità europea” post Nato. La partecipazione a queste due alleanze è stata vantaggiosa fino a circa il 2010. Poi lo è diventata meno per l’appoggio statunitense alla destabilizzazione della Libia, colonia italiana di fatto, e un disingaggio relativo dell’America nel teatro mediterraneo e dintorni mentre a Roma serviva un maggiore rischieramento Nato sul fronte Sud per allargare la propria zona di sicurezza. La gestione dell’euro si è dimostrato un fattore di impoverimento dell’Italia – pur in parte bilanciato da altri vantaggi economici dati dalla partecipazione all’Ue - perché il rigore richiesto non era, ne è, sostenibile, a causa della scelta italiana di aderire alla moneta unica prima di aver ridotto nazionalmente l’enorme debito e di cedere la sovranità economica e monetaria ad un agente esterno senza ottenere in cambio un succedaneo compensativo della sovranità perduta. Ora il nuovo governo sembra impostare un’azione finalizzata ad ottenere più vantaggi dalle due alleanze portandole a sostenere o almeno non ostacolare uno “spazio geoeconomico italiano”.
Per inciso, va segnalato che Roma non può cambiare la sua “Grande strategia” (collocazione duratura), cioè le alleanze con Nato e Ue. Ma, usando una nuova “Grande tattica”, potrà migliorare la sua posizione entro la “Grande strategia” non modificabile. Le prime mosse sembrano confermare questo tentativo. Chi scrive lo geometrizza come grande tattica dei due semicerchi entro un cerchio globale più ampio disegnato dall’alleanza G7. Il primo semicerchio è stato tratteggiato in queste settimane via consolidamento delle relazioni bilaterali con i Paesi della costa Sud del Mediterraneo e con la Turchia. L’approccio è stato pragmatico: scambio con vantaggi reciproci e almeno consultazione con la difficile Ankara. La metrica principale per valutare i risultati tra qualche mese sarà il prezzo dei combustibili fossili importati dalle nazioni produttrici stabilito via accordi governativi. Per renderlo minimo l’Italia dovrà spendere qualcosa, ovviamente. Ma è importante che tale investimento favorisca le imprese italiane nell’area. In tal modo il calcolo sistemico del dare e avere potrà essere equilibrato, di vantaggio per l’Italia, tra cui la competitività. Altri vantaggi riguardano il contrasto all’immigrazione clandestina. Al riguardo di sicurezza e proiezione di potenza nazionale ordinatrice, il tema ovviamente riguarda operazioni integrate con quelle degli alleati. L’America sta tornando in Africa e Medio oriente e quindi l’Italia ha potuto e potrà contare su un allineamento degli interessi con l’alleato statunitense. In sintesi, la delineazione di questo semicerchio di spazio geoconomico italiano più largo promette bene.
Ora Roma deve impostare l’altro (geo) semicerchio che comprende le nazioni dell’alleanza europea. Il recente bilaterale con la Francia in materia di difesa ha mostrato buone relazioni, pur molto al di sotto della retorica del Trattato del Quirinale: la relazione con uno dei due diarchi si sta aggiustando lungo linee di interesse nazionale pratico reciproco. Se continua così va bene perché le cointeressenze settoriali tra Roma e Parigi sono molteplici, pur non avendo l’Italia interesse a fare un’alleanza privilegiata generale con la Francia. Il “se” è dovuto al fatto che nelle contingenze la Francia è collaborativa perché tutti suoi progetti di potenza sono stati distrutti o messi in forse dalla nuova situazione. Ma se la situazione cambiasse, c’è il rischio che Parigi riprenda una strategia di dominio, anche segnalata dal recente trattato bilaterale con la Spagna. L’incontro previsto il 3 febbraio tra Giorgia Meloni e Olaf Scholz appare liscio, ma chi scrive lo ritiene il più difficile. Il motivo è che l’attuale conduzione della Germania deve cambiare modello economico mercantilista-neutralista, basato sull’export, ma non può farlo in tempi brevi restringendo troppo le relazioni economiche con la Cina. Inoltre, deve compensare la perdita del mercato russo: sperava in un accesso più fluido in quello statunitense, ma è scenario incerto. Per tale motivo di difesa di un residuo mercantilismo neutralista sta rientrando in una logica di sovranità europea, tossica per l’Italia. Le relazioni sono ottime, certamente Roma ha interesse ad una convergenza con la Germania per evitare soluzioni pericolose nella montante revisione del Patto di stabilità ed eccessi isterici nella Bce, nonché, in quanto ambedue potenze manifatturiere, a convergere per l’espansione dei trattati commerciali esterni dell’Ue. Quindi il suggerimento è di accordarsi su temi solo selettivi di reciproca utilità, ma evitando convergenze più generali perché la Germania non ha ancora deciso dove vuole veramente andare nel futuro. L’importante nel breve è che Germania e Francia non interferiscano con la costruzione italiana del primo semicerchio, via ricatti o esclusioni penalizzanti. Ciò implica diplomazia convergente, ma anche dissuasione da irrobustire con relazioni più strette tra Roma, in posizione di tutore cooperativo, e l’Europa orientale e nordica, questa la parte pro Nato più interessante geo-economicamente per l’Italia nel secondo semicerchio: dal Mediterraneo al Baltico.