Sta montando nel settore dell’auto la protesta contro il calendario degli ecodivieti imposti dall’Ue: il capo di Toyota il più esplicito, seguito da Stellantis e da quasi tutti i produttori europei. Il tema riguarda i costi dei materiali per le batterie, la disponibilità delle torri di ricarica, il ritmo delle vendite dei mezzi “Bev”, ecc. Bersaglio è il tempo troppo rapido (2035) per l’abbandono forzato dei motori endotermici e conseguente riduzione degli addetti. Chi scrive aggiunge che se nel 2035 tutte le autovetture dovessero andare a batteria non ci sarebbe in Europa elettricità sufficiente generata da fonti pulite. A meno che in quel periodo siano disponibili decine di centrali nucleari a fissione, e relativi depositi di scorie: improbabile in termini di calendario, eventualmente fattibile nel 2050/60 - pur ottima la nuova tecnologia di mini-centrali supersicure e con poche scorie. Soluzione? Togliere il divieto del 2035 per i motori endotermici ed incentivare un mix di opzioni comunque meno carbonizzanti: auto ibride, mezzi elettrici alimentati da cellule a combustibile (fuel cell) a loro volte alimentate da idrogeno verde, motori endotermici spinti da carburanti sintetici o da biogas, comunque auto a batteria di piccole taglia per percorsi urbani se proprio qualcuno vuole praticare questa tecnologia che non appare molto efficiente, ecc. Per inciso, già i produttori di grandi mezzi (i Tir) o di scala media (furgoni) si stanno orientando verso motorizzazioni elettriche a idrogeno, via fuel cell, che promettono percorrenze tra i 1.000 e 1.500 Km senza ricarica, probabilmente di più. In sintesi, si può ottenere l’obiettivo di de-carbonizzazione (al cui riguardo chi scrive attende un confronto tra scienziati che lo ritengono una priorità unica ed altri che rilevano cause diverse per il riscaldamento globale) senza divieti e con incentivi ad un’ampia varietà di fonti energetiche e motrici per renderle meno contaminanti: cioè un mix di opzioni dove si lascia libero di evolvere l’insieme migliore di esse, rispettando il criterio di evitare un conflitto tra ambiente e sviluppo. Va detto a merito dell’Ue che da tempo finanzia progetti precompetitivi in materia di idrogeno verde, questa tecnologia pronta ad andare sul mercato con diverse applicazioni, su cui chi scrive scommette al punto da dire che nel 2023 inizierà l’età dell’idrogeno (verde).
Ma sul piano generale del calendario dei divieti decarbonizzanti, l’ecopolitica dell’Ue appare un fanatismo irrazionale che crea un conflitto tra ambiente ed economia. Chi scrive è particolarmente preoccupato dall’idea di applicare a partire, sembra, dal 2027 un dazio alle importazioni da nazioni che non rispettano gli ecostandard europei. La motivazione è quella di disincentivare la migrazione delle aziende europee in giurisdizioni meno ecostringenti. Ma i cervelloni che hanno elaborato questa idea si sono resi conto che l’Ue è un piccolo mercato di meno di 500 milioni di persone a fronte di giurisdizioni gigantesche, tipo Cina e India, o che lo stanno per diventare, per esempio Nigeria, Indonesia, ecc.? Si sono resi conto che se si mette un dazio poi c’è una ritorsione? L’Ue ha nazioni che vivono di export, tra cui l’Italia, e tale approccio dazista non appare molto furbo. In sintesi, le economie emergenti del pianeta hanno già dichiarato che inizieranno a decarbonizzare seriamente, forse, attorno al 2060-70 per non compromettere il loro sviluppo. L’America sta facendo una svolta decarbonizzante, ma questa sarà molto lenta perché certamente non rinuncerà all’indipendenza energetica data dalla grande disponibilità di energia fossile. L’Ue produce solo una piccola parte delle emissioni globali, ma vuole essere la prima a ridurle mettendo a rischio il proprio sviluppo: appare surreale. Il giornalismo investigativo dovrebbe indagare sui veri motivi che hanno portato l’industria dell’auto tedesca ad abbandonare il diesel a favore della trazione a batterie: risposta, ora in via di ripensamento, alla guerra condotta contro la Germania dall’America nel passato? Pressione tedesca su quel colabrodo di influenze lobbyistiche che è l’Ue per imporre l’auto elettrica in tempi remunerativi per i nuovi megainvestimenti? O pressione francese per monetizzare il suo sistema di centrali nucleari? O altro, per esempio l’individuazione dell’ambientalismo come possibilità di dichiararsi “potenza etica” ed alzare protezionismi, nonché vantaggi morali, sui competitori? O si tratta solo di concessioni al partito verde? Andrà chiarito.
Ma andrà anche chiarita tutta la questione ambientale, generando obiettivi fattibili ed efficaci e non miti. Di fronte al cambiamento climatico deve prevalere l’ecoadattamento, cioè la creazione di una tecnologia sistemica con migliaia di applicazioni che permettono ai sistemi umani di operare con qualsiasi variazione ambientale, e non il mito di fermare un mutamento planetario: l’Ue dovrebbe puntare al primato mondiale dell’ecoadattamento tecnologico e non a quello degli ecodivieti. Quando mettere al centro del dibattito politico questo tema? Già in vista delle elezioni del Parlamento europeo – con attenzione a ridurre la sua permeabilità a qualsiasi interesse particolare spinto da corruzione – nel 2024 con la speranza di poter modificare l’ecopolitica europea in direzione realistica nel 2026, data già prevista per una sua eventuale revisione. I partiti avranno paura di perdere consenso perché questo favorisce il mito? Si confrontino sulla stampa gli argomenti pro e contro, si abbia fiducia nel buon senso della gente.