Il gruppo di ricerca dello scrivente (Stratematica) mesi fa ha posto ad alcuni think tank, con cui è in rete nell’area dell’alleanza delle democrazie, la seguente questione, così articolata: la Russia non potrà mai sostituire il dominio dell’impero delle democrazie sul pianeta, ma la Cina potrebbe farlo con facilità non facilmente sfidabile se prendesse un’influenza forte su Mosca e sull’Asia centrale; pertanto non è conveniente lasciare la Russia in mani cinesi. Il punto: con quale strategia si potrebbe riportare la Russia entro l’azione di contenimento globale dell’espansione cinese? Il fatto che dopo tanto tempo stiano arrivando dai think tank cugini segnali di riconoscimento della rilevanza del tema – pur non ancora opzioni di scenario – indica che il problema sta prendendo spazio nei tavoli di riflessione strategica. Ciò sollecita risposte pur preliminari e ipotetiche alla domanda fatta sopra perché la retroazione dello scenario cinese futuro sul presente di quello russo (e ucraino) avrà certamente effetti.
Situazione corrente. Nato, Ue e G7 sono ingaggiati contro la Russia indirettamente nella guerra cinetica localizzata in Ucraina e direttamente in quella economica (sanzioni) sul piano globale. Il regime di Vladimir Putin è in difficoltà sia militarmente sia economicamente e ha chiesto aiuto alla Cina, anche pubblicamente con postura ansiosa nella videoconferenza con Xi Jinping. Pechino è molto prudente, per lo meno sul piano visibile, nel darlo sia per non cadere nelle sanzioni secondarie G7 sia, soprattutto, perché percepisce una crescente instabilità del comando di Putin che ne mette in forse il ruolo di interlocutore prospettico. Putin – nonostante aiuti cinesi sul piano del “non visibile” – si è reso conto che deve dare segnali di forza militare e allo stesso tempo di volontà negoziale con gli occidentali per congelare il conflitto in Ucraina ad un punto che gli permetta di dichiarare una qualche vittoria sia per motivi di tenuta interna sia per dimostrare a Pechino che resterà interlocutore in Russia e attore principale in Asia centrale. Ma sul campo farà fatica a sfondare perché Nato, Ue e G7 non possono permettersi di lasciarglielo fare: infatti stanno potenziando l’arsenale ucraino. Sul piano politico ormai Putin è tossico e candidato con i suoi ad un processo tipo Norimberga: ciò non impedisce un cessate il fuoco, ma rende improbabile che a Putin venga concesso di dischiarare una vittoria e, soprattutto, la sospensione delle sanzioni economiche. Ciò apre un’ipotesi di sostituzione del regime di Putin con probabilità crescente pur non ancora prevalente.
In tale ipotesi vi potrebbe essere un trasferimento della guerra dall’Ucraina ad un conflitto civile interno in Russia. Indizio: l’intelligence danese, circa un mese fa, emise un comunicato che si presta ad interpretazioni multiple: l’eccesso bellico di Putin è dovuto all’effetto di farmaci anticancro. Uno delle interpretazioni è che ciò sia un segnale alle élite russe: la colpa è solo di Putin e di una ventina di suoi fedeli, il resto dichiarabile innocente e non sottoponibile ad una Norimberga internazionale, ma eventualmente gestibile selettivamente dalla giustizia interna russa post Putin. Tale segnale, se così, è diretto ad una parte del regime affinché faccia fuori l’altra e tenga la Russia in postura non aggressiva e non aperta ad influenze cinesi. Va annotato che alcuni recenti omicidi, visite riservate a Pechino (Dmitrj Medvedev), la competizione tra il gruppo Wagner e le forze armate regolari, ecc., indicano che il nucleo del regime putiniano sta organizzandosi per resistere ad un golpe. In questo contesto un’analista si è chiesto: perché il dissidente Aleksej Navalny si è lasciato incarcerare invece di fuggire: ha annusato la fine del regime ed un suo ruolo futuro da leader oppure si è semplicemente arreso al ricatto di essere ucciso con la famiglia in una qualsiasi parte del mondo? Non lo sappiamo, ma è interessante la domanda dell’analista perché la dissidenza organizzata russa è nazionalista. Ciò apre un’ipotesi di una nuova conduzione della Russia che non cede all’Occidente, ma nemmeno alla Cina. E ciò sarebbe comunque un miglioramento. Come lo sarebbe il caso che i militari, apparentemente divisi tra putiniani ed anti, appoggiassero una postura dell’impero russo continuista, ma non propensa all’azzardo, con limiti forti all’espansione cinese in Eurasia. La Cina non sembra ancora muoversi decisamente sulla sostituzione di Putin – pur condividendo con gli americani nei colloqui informali in corso che Putin stesso non sia sano di mente, segnale politico e non medico, evidentemente – perché se restasse al potere avrebbe un bisogno totale da parte della Cina. Ma sta prendendo posizione per influenzare l’eventuale sostituzione. E approfittando della situazione per conquistare l’Asia centrale, annotando che proprio in questi giorni ha perfezionato il dominio del potenziale minerario dell’Afghanistan (enorme) e intrecciato relazioni condizionanti, fatte con molta astuzia, con il Kazakistan che in teoria dovrebbe essere parte del perimetro di influenza russo (Csi).
Questi cenni portano alla domanda: conviene alle democrazie tentare di salvare Putin in cambio di una sua postura meno filocinese e aggressiva oppure spingere un gruppo locale a sostituirlo dandogli nuova cittadinanza e relazioni economiche nel mondo, nonché immunità, in cambio di un contenimento dell’espansione cinese? Non c’è ancora risposta costi/benefici, ma il motivo per studiarla rapidamente sì.