La visita a Roma martedì prossimo del premier nipponico Fumio Kishida avviene nel contesto della Presidenza di turno del Giappone del G7 per il 2023 che implica consultazioni con gli altri partner, considerando che nel 2024 tale ruolo toccherà all’Italia. Ma non sarà solo una visita di routine perché il Giappone ha da poco formalizzato una discontinuità nella postura politica, per altro precorsa informalmente da Shinzo Abe nel recente passato: l’aumento fino al 2% del Pil della spesa militare per finanziare un deterrente militare proiettivo al posto di una pur robusta postura esclusivamente difensiva (1% del Pil) contro la minaccia cinese e nordcoreana nella regione, con enfasi sulla difesa di Taiwan come punto cardine della dottrina nipponica ed alleata per “un Indo-pacifico libero e stabile”. Tale svolta ha portato Tokyo a partecipare al consorzio anglo-italiano del sistema aereo di superiorità di sesta generazione “Tempest” integrandolo con il proprio “F-X”, ora il nuovo consorzio ribattezzato “Gcap” (Programma di combattimento aereo globale), per inciso in attesa che la Svezia, inizialmente ingaggiate nel “Tempest”, partecipi o meno. L’evoluzione di questa piattaforma tecnologica anglo-nippo-italiana sarà certamente parte dei colloqui bilaterali, probabilmente in una direzione di rafforzamento entro la dottrina statunitense di “deterrenza integrata” e quella di “Nato globale” che punta più del passato all’ingaggio degli alleati concedendo loro anche uno spazio per gli armamenti di superiorità globale, di fatto concorrenza per l’industria militare statunitense, ma con mantenimento comunque del vantaggio americano sul piano degli standard di interoperabilità, per esempio reti di controllo totale di un teatro di conflitto potenziale o attuale, dei diversi arsenali alleati. Ovviamente tale “concessione” statunitense è indirizzata verso gli alleati più affidabili e convergenti, criterio che al momento lascia fuori Parigi per la sua volontà di perseguire un’autonomia europea semidivergente e Berlino che, pur con riluttanza e molti distinguo, ha dovuto seguirla confermando la costruzione di un concorrente “Fcas” (Sistema di combattimento aereo futuro) al programma “Gcap”, ma che appare di tecnoqualità potenziale inferiore al “Gcap” stesso e non predisposto al salto verso la settima generazione di superiorità che implica necessariamente un aggancio sistemico ad armamenti statunitensi già in sperimentazione o forse in uso, per esempio piattaforme portatrici di armi ad energia. Materia complessa, ma una riflessione preliminare è già possibile: a Roma conviene che il triangolo tecnologico militare “Gcap” con Londra e Tokyo (con capofila le aziende Bae, Mitsubishi e Leonardo) venga consolidato in esclusività, cioè come nucleo principale, pur aperta ad altri partner o clienti selezionati, scelta non solo importante per le ricadute competitive sull’industria in generale, ma anche per le implicazioni geopolitiche. Per esempio, la Germania non è ancora in grado di garantire, in particolare agli occhi di Tokyo, un ingaggio anticinese nell’Indopacifico. La Francia sta cercando di diventare credibile in materia, ma ha una strada lunga per riuscirci. Il Regno Unito è credibile ed evidentemente l’Italia è ritenuta tale nonostante l’irriflessiva sigla del trattato di partecipazione alla Via della Seta che, pur ora di fatto cancellato, è ancora formalmente attivo (urgente ridimensionarlo).
Ciò porta alla riflessione su quali benefici e costi avrebbe l’Italia nell’incardinarsi in una Nato globale con partecipazione alla missione di presidio dell’Indo-Pacifico. La connessione di sicurezza tra Mediterraneo e Pacifico sotto ombrello americano, ma con certa capacità autonoma, certamente favorirebbe, sul lato della sicurezza e credibilità, la penetrazione italiana in Africa con “metodo italiano”, cioè rassicurante, rispettoso e contributivo, diversamente da quello quasi-coloniale francese (infatti in ritirata) e, per inciso, quello imperiale della Cina (che trova sempre più dissensi). Una prima riflessione di partenariato con il Giappone per l’area africana avrebbe senso, anche se Tokyo ha l’interesse primario a migliorare le relazioni con tutta l’Ue oltre che a cementare quelle con l’America. Ma nel momento in cui la Cina reagirà con probabili restrizioni all’export nipponico a seguito del riarmo, Tokyo avrà interesse a spingersi in nuovi mercati con un partner privilegiato dotato di metodo moderno e bandiera ben vista da (quasi) tutti nel mondo, considerando che anche l’America si sta reingaggiando in Africa. Costi: tensioni maggiori con la Cina, forse pressione dell’Ue, cioè di Francia e Germania, sull’Italia affinché non si muova unilateralmente in Africa e rischi di intrappolamento in conflitti locali. E’ ovvio che con la Cina ormai la relazione va portata verso i minimi dai massimi, con l’Ue gli eventuali problemi sono gestibili, la massima attenzione va invece ad un percorso di relazioni africane che eviti le turbolenze principali in atto. Saltando parecchi passaggi, un approdo reciproco per la flotta giapponese e quella italiana in Italia e in Giappone, aiuterebbe. La costruzione in comune di quattro portaerei di più, sondando Londra per partecipazioni. Una collaborazione per la costruzione del nuovo arsenale missilistico nipponico ancor di più. Il senso di questi cenni è che Italia e Giappone hanno vantaggi comuni nell’approfondire la cooperazione bilaterale a livello militare, industriale e delle nuove tecnologie, anche spaziali, nonché commerciale entro una convergenza G7 e sotto ombrello americano: quindi si esplorino estensioni della già buona relazione.