Ecofuturizzazione. A ridosso della ministeriale Esa (Agenzia spaziale europea) del 22-23 novembre è utile portare l’attenzione su un potenziamento degli strumenti di osservazione dallo spazio per seguire il cambiamento climatico per scopi di ecoadattamento preventivo del territorio: tale attenzione a livello europeo è già presente, ma al momento è assente un modello integrato capace di mettere insieme tutti dati rilevanti – sensori terrestri, aerei e spaziali (questi i più rilevanti) – per organizzarli in informazione utile a trasformazioni ecoadattive. Chi scrive aveva già proposto un tale modello alimentato da sensori multipli nel 1990 quando ha operato in un gruppo di lavoro dell’Onu per la prevenzione delle catastrofi ambientali (Un-Idndr) denominandolo HOME (Holistic Model of Earth, Modello olistico della Terra). Ma l’idea fu respinta perché implicava una convergenza geopolitica che non esisteva; mancavano parecchi pezzi per la tecnologia adeguata (in realtà esistevano, ma erano militari non ancora trasferiti al civile); alcuni governi rilevanti consultati espressero problemi di consenso in caso di anticipazione dei rischi, in particolare la perdita di valore dei terreni esposti; molti ricercatori del gruppo di lavoro già allora ritenevano la decarbonizzazione e la limitazione dello sviluppo antropico come unici strumenti per evitare un cambiamento climatico catastrofico. Chi scrive obiettò che mettere in conflitto sviluppo ed ambiente sarebbe stato distruttivo per il primo e inefficace per il secondo e che sarebbe stato meglio progettare un ecoadattamento guidato da una visione di “ecologia artificiale” capace di costruire una sostenibilità reciproca tra Uomo e ambiente con nuovi strumenti cognitivi e tecnologici. Picche, era troppo bello per costoro prendere una postura anticapitalistica. Oggi i potenziali tecnologici ci sono. Il rischio di mutamento climatico erosivo per i territori è nelle cronache così come i suoi danni economici crescenti. Gli stessi sostenitori della decarbonizzazione come unica salvazione iniziano a comunicarne l’infattibilità entro i tempi (da questi) previsti. La schiera di scienziati che ritiene la decarbonizzazione forzata un obiettivo sbagliato sta diventando più vocale (sarebbe importante vedere un confronto tecnico diretto tra questi e gli altri). Le istituzioni in alcune nazioni nonché i privati, per esempio, nel settore dell’agricoltura stanno praticando l’ecoadattamento per necessità. E ciò accade perché il riscaldamento c’è, la decarbonizzazione che sia un giusto o inefficace rimedio comunque non verrà perseguita nei prossimi decenni dalle nazioni emergenti e da grandi poteri quali Cina e India. Quindi? Dobbiamo capirne di più in generale e prepararci a modificare l’ambiente naturale e costruito per renderli meno vulnerabili alla variabilità climatica e così permettere la sostenibilità dello sviluppo antropico. Detto altrimenti, la missione ecoadattiva non è quella di conservare uno specifico bosco, ma quella (ecopoietica) di permettere che un bosco possa esistere.
Il territorio italiano appare tra quelli più a rischio del pianeta. Non è chiaro se sia in corso una desertificazione o monsonizzazione/tropicalizzazione oppure ambedue, intanto il livello delle acque sale. Si aggiunga il rischio sismico e il fatto che le bombe d’acqua trovano un territorio orograficamente predisposto, e in talune aree reso vulnerabile da costruzioni non ben pensate, per amplificare eventi ed esiti estremi. Sarebbe bello avere un HOME dove la E perimetri almeno l’Europa. Ma per stimolarlo e per avere dati precisi di priorità per programmare gli interventi di ecoadattamento sarebbe utile un HOMIT (Modello olistico dell’Italia). Ci sono tanti modelli settoriali, per esempio quello del rischio sismico, ma non c’è uno integrato e istituzionale che mappi il territorio nazionale fondendo centinaia di dati situazionali, aggiornandoli periodicamente per seguire le ecodinamiche via informazione continua da satellite, osservazioni aeree, sensori a terra, analisi bio-chimiche-fisiche ed epidemiologiche per umani, animali e vegetali. La tecnologia c’è, ma vanno potenziati per lo scopo i sensori e il metodo di integrazione dati per georeferenziarla in modi che permettano ad un decisore di indirizzare le risorse per sistemi di prevenzione ecoadattiva in base alle priorità. Per esempio, è in costruzione la mappa degli invasi per avere scorte d’acqua in periodi di siccità. Ma se questa diventasse più lunga bisognerebbe ricorrere ai dissalatori collocati lungo le coste, connettendoli agli acquedotti. Sarebbe un investimento impegnativo e dovrebbe essere sostenuto da informazione il più precisa possibile sulle tendenze segnalate da fenomeni anticipatori. Deve l’Italia importare acqua dolce dall’Albania o costruire dissalatori? La risposta ovviamente deriva da un calcolo di scenario molto ampio che richiede dati del tipo qui accennato. Ma abbiamo supercalcolatori capaci di gestire una tale quantità di dati? Li abbiamo già (la nuova generazione dei quantici iperpotenti tra qualche anno). Abbiamo sistemi di intelligenza artificiale in grado di adattare i dati alle letture umane ed alle decisioni? Non ancora, ma la possibilità di ottenerli è solo funzione dell’investimento di soldi e capitale intellettuale. Abbiamo i sensori? Sì, vanno solo adeguati allo scopo in catena informativa, con priorità, appunto, dell’osservazione satellitare: ab astris salus orbis.