L’analisi di realtà segnala che per due temi importanti, energia e immigrazione, l’Italia non potrà contare su una cooperazione sostanziale da parte dell’Ue e degli Stati partner, per esempio il recente accordo solo bilaterale tra Francia e Germania per la reciproca assistenza sul piano dell’energia, fatto che per inciso ipotetico comporta un rischio di minore fornitura di elettricità dalla contigua Francia, corredato da una possibilità di ricatti. Al riguardo dell’immigrazione, le cronache mostrano che nessuno Stato voglia una redistribuzione dei clandestini che entrano in Italia. Pertanto Roma è costretta a cercare soluzioni nazionali. Va subito detto che tale postura unilaterale non implica la rinuncia alla retorica delle “soluzioni europee” ed a posizioni di euroconvergenza che hanno un’utilità diplomatica per la gestione di tanti altri dossier delicati che si cumuleranno nel 2023. Ma sotto tale ombrello nominalistico l’azione sostanziale dovrà essere nazionale.
Gli scenari energetici per l’Italia nostrano un periodo critico di completamento della sostituzione delle forniture di gas russo nel periodo 2023 – 25 dove c’è un problema di gap nel 2023 e di costo eccessivo delle importazioni di gas e petrolio per tutto il periodo detto, probabilmente decrescente da qualche momento del 2024 in poi. La soluzione del tetto ai prezzi non ci sarà per mancanza di scala condizionante del compratore nei confronti del venditore. Ma dalla primavera del 2022 Roma ha mostrato, grazie all’Eni, una rimarchevole capacità di siglare contratti “G to G”, cioè bilaterali tra governi, che le hanno assicurato, e promettono di farlo in crescendo nel prossimo biennio, un sufficiente flusso di forniture di gas via tubo e via nave. La soluzione nazionale è triplice: 1) strutturare di più tali contratti non solo per blindare i flussi, ma anche per contenerne i prezzi con misure di co-investimento e/o scambio senza dimenticare la fornitura di sicurezza ad alcune nazioni; 2) accelerare in modo anche parossistico l’attivazione di tutte le possibili fonti di energia azzerando le limitazioni e spingendo le innovazioni quasi mature, per esempio l’idrogeno verde da biogas (con recente tecnologia super efficiente) o impiego del solare per elettrolisi (nel settore ci vorrebbe una funzione commissariale); 3) programma di estensione delle estrazioni di gas e petrolio nella zona economica nazionale corroborata da partecipazioni allo sfruttamento consortile di giacimenti viciniori, per esempio in Israele ed Egitto, ecc. Poiché questa direzione è già attiva, dove starebbe l’unilateralità? In quello che si dà in cambio ai governi produttori e nel ricorso ad un bilaterale privilegiato (dedicato) con gli Stati Uniti per ombrello di sicurezza e sostegni vari, tra cui un accordo per forniture statunitensi d’emergenza a prezzo politico, se servissero. Semplificando, l’accordo dovrebbe prevedere una proiezione di potenza italiana combinata con America e parte della Nato nel Mediterraneo ed Africa che dia a Roma lo status di hub energetico per l’Ue, ma senza ricattabilità da parte di Stati europei. Probabilmente la Francia, se vedesse un tale sviluppo, si opporrebbe, ma un complesso italo-americano avrebbe la forza per portarla su un tavolo negoziale dove calmarla, con un po’ di bastone e un po’ di carota. Chi scrive non sa se Roma si senta in grado di fare un’azione simile, ma qui se ne raccomanda l’esplorazione rapida (forse già in corso riservatamente). Esito eventuale? Qualche problema nel primo semestre 2023, ma poi verso la compensazione del gap nel secondo e nel 2024.
Immigrazione: all’Italia serve capitale umano di buona qualità per invertire il declino demografico non compensabile in tempo utile da un aumento limitato di nascite residenti, ricordando che c’è una relazione tra Pil, pensioni e massa umana. Chi scrive si è chiesto perché la Germania che è invasa da molti più immigrati dell’Italia non chieda la redistribuzione. Una prima ipotesi è che voglia mantenere crescente la sua demografia, anche attraendo migranti che passano dall’Italia. Da controllare. Ma lo scenario sembra muoversi verso una direzione di competizione tra Stati per chi evita spopolamento e, soprattutto, riesce a catturare il capitale umano migliore. Quali potrebbero essere gli elementi di una nuova strategia italiana in materia? Primo, certamente blindare i confini. Secondo, selezionare il capitale umano migliore sia in fase di eventuale entrata illegale sia andando a cercarlo nel globo, senza dimenticare i milioni di italiani qualificati espatriati. Terzo, formare gli immigrati selezionati per assimilarli e per inserirli velocemente nel mercato. Il punto di unilateralità? La concorrenza con gli altri Paesi europei per avere il capitale umano migliore e l’inversione del declino demografico. Ma perché, allora, i concorrenti europei non si prendono quelli che l’Italia offre? C’è un problema di consenso interno in tutte le nazioni. Soprattutto, queste vogliono selezionare gli immigrati (gli “assimilabili”) e non importarli alla cieca. Inoltre, il praticare sia selezione sia assimilazione è considerato da molti disetico, cosa che frena la politica. Ma la nazione che riuscirà a risolvere questi problemi prenderà rapidamente un enorme vantaggio competitivo. La formula? Per intanto vedere il migrante (selezionato e organizzato) come denaro sistemico che poi arriverà dopo un po’ nelle proprie tasche. Troppo utilitarista? L’utilitarismo ha più efficacia umanitaria del moralismo.