Il programma di aumento dell’estrazione di gas dai fondali italiani – in Adriatico sotto il 45° parallelo, con l’eccezione dell’area di Goro (delta del Po) per evitare rischi di subsidenza della Laguna di Venezia - e la formula (via Gse) di dedicarne, già nel brevissimo termine, una buona parte alle aziende gasivore con prezzi calmierati è un ottimo segnale iniziale di realismo da parte del nuovo governo. Ma è più importante in prospettiva la riapertura della ricerca di energia fossile, metano e petrolio, in Italia che fu vietata circa un decennio fa. Le stime geologiche terra/mare a quei tempi ipotizzavano un potenziale di 350 miliardi di metri cubi di gas – il consumo annuale in Italia è attorno ai 75 miliardi - e di 1,8 miliardi di barili di petrolio. Oggi i sistemi di ricerca sono molto più evoluti così come le tecniche di estrazione migliorate per la sicurezza ambientale. Pertanto le vecchie stime potrebbero essere sottostimate. Ovviamente il potenziale andrebbe calcolato in relazione al costo di estrazione a sua volta valutato in relazione al prezzo di mercato. Pur non potendo precisare ancora questa dimensione economica, va comunque annotato che la parte di sostituzione del gas russo via gas liquido avrà dei costi incomprimibili: gas fornito da qualche parte del mondo, sua liquefazione, trasporto marittimo, rigassificazione e poi distribuzione/stoccaggio. Chi scrive aspetta i dati dagli specialisti per inserirli come input nelle simulazioni (macro)economiche, ma al momento fa girare un modello preliminare dove il costo all’utente italiano è tra un minimo ottimista di 65 euro per megawatt ora e due possibili massimi (di caso non peggiore) di 80 e 100 euro. Per inciso (da confermare) il governo sembra valutare sostenibile un intervallo di prezzo tra i 50 e 100 euro per megawatt ora, nel breve termine. I costi del rifornimento dall’estero via tubo non sono stati ancora comunicati per la parte di aumento dei flussi necessario per la sostituzione del gas russo. La sensazione è che nel 2024, e forse già nel 2023, potranno essere minori di quelli del 2022 dove il governo è stato preso a sorpresa dalla scarsità/prezzi stellari e ha siglato accordi di fornitura a qualsiasi costo (sembra) pur di ottenere il materiale. Ma, tentando uno scenario lungo sul costo/prezzo del gas per l’Italia, l’esito non è tranquillizzante. Tuttavia, se si portasse la produzione nazionale del gas verso il 25% del fabbisogno (dal 6% circa a cui sembra puntare il governo nel breve termine, ricordando che un ventennio fa l’estrazione nostrana copriva quasi il 20%) per 20 - 25 anni e si aggiungesse una riduzione graduale della dipendenza dal gas via nuove tecnologie (mix con idrogeno, più solare ed eolico, ecc.), allora lo scenario sarebbe molto più rassicurante. Chi scrive ha messo nel simulatore il sopracitato periodo di 20 – 25 anni come tempo di ammortamento dei possibili nuovi investimenti nei prossimi 3-4 anni e di utilizzo delle infrastrutture di rete, il tutto combinato con una stima di portanza dei giacimenti noti e potenziali prima del loro esaurimento. E per questo ipotizza che nel 2045 possa avvenire la transizione verso il nucleare di nuova generazione e la riduzione rapida della dipendenza dal gas. Questo punto, pur solo una prima stima, va comunque segnalato per dare un messaggio di “de-metanizzazione”: anche se si va un po’ più lenti nella de-metanizzazione, poi il ricorso al nucleare come energia basica sostenuta come laterali da solare, eolico e idro (che non possono essere basici perché fonti incostanti) potrà accelerare in progressione geometrica (rapidissima) l’abbandono del gas, senza il trauma di una transizione ecologica pensata a cavolo (dall’Ue) perché con un calendario che crea un gap di energia con rischio di costi insostenibili e distruttivi di circa, appunto, un ventennio. In tal senso lo sfruttamento in crescita delle risorse fossili per un certo periodo (che ha limiti anche perché queste di esauriscono) è in realtà un acceleratore della riduzione della dipendenza dal gas perché permette la transizione verso il nucleare – sicuro, pulito, risparmioso - armonizzando requisiti ambientali ed economici, ora in dissonanza.
La speranza che ci sia tanta energia fossile estraibile a costi sostenibili va corroborata ampliando l’area italiana di sfruttamento economico del mare. Tale allargamento è anche necessario per la garanzia di sicurezza ambientale e attrattività turistica. Dovrà essere necessariamente collaborativo con altre nazioni anche per aumentare l’efficienza degli investimenti, le reti combinate di distribuzione, ecc. Tre direttrici, qui denominate come progetti ipotetici: a) Lago Adriatico, collaborazione con tutte le nazioni costiere a partire dalla Croazia con cui l’Italia condivide un potenziale di circa 70 miliardi potenziali accertati (di più in realtà) e deve stare attenta che Zagabria, che sta investendo circa 250 milioni, non pregiudichi la stabilità geologica dell’alto adriatico; b) Atlantide: esplorazione e sfruttamento congiunto tra Italia, Francia e Spagna dei fondali a partire dalla Sardegna verso occidente (c’è roba); c) Esagono (federiciano): estensione verso Sud della zona di sfruttamento italiana dello Jonio e del Canale di Sicilia, in collaborazione con Malta (c’è tantissima roba). A chi scrive questo passo sembra poter aumentare la sicurezza e sostenibilità energetica dell’Italia per i prossimi 20-25 anni. Il petrolio? Tema ricco, ma delicato: alla prossima puntata.