Chi scrive ha ricevuto tre diversi scenari economici “macro” per il 2023 con oggetto specifico l’Italia – escludendo il quarto di guerra incontrollata nei dintorni, improbabile pur non escludibile – elaborati dal suo gruppo di ricerca per rifinire le assunzioni che reggono i calcoli e, soprattutto, valutare quale sia il più probabile. Scenario “super-peggiore”: recessione grave e duratura nel 2023 a causa di un gap non bilanciato a fine 2022, seguita da stagflazione e da fenomeni degenerativi con impatto strutturale sull’economia italiana che si assesterebbe nel 2025 ad un livello molto inferiore di ricchezza complessiva in relazione a quella odierna, con probabilità del 15%. Scenario peggiore, simile a quello scritto nel recente Nadef (la variante che calcola l’interruzione dei residui flussi di gas russo, come è successo sabato) che prevede una crescita zero nel 2023 ed un rimbalzo successivo non grande perché lenta la ripresa, con probabilità del 30%. Scenario migliore: periodo di crisi acuta per sei mesi a partire da oggi, poi una transizione di ripresa non omogenea nel 2° trimestre 2023, seguito da crescita robusta e abbastanza omogenea nel 2° semestre, con probabilità del 55%, dove ha pesato molto la capacità italiana di sostituire rapidamente e con costi sostenibili le forniture russe di energia. In questo scenario la previsione di crescita va dal + 0,7% del Pil nominale allo 1,5% per il 2023 con prospettiva di consolidamento verso il 2% nel 2024. Per comparazione, il recente scenario Ocse vede una crescita per l’Italia nel 2023 allo 0,4%, uno precedente del Fmi allo 0,7%, altri stimano lo 0,2%. La Bce indica un’inflazione dell’Eurozona attorno al 5,5% nel 2023, ma poi in rapida discesa. Vediamo quali condizioni realistiche potrebbero portare la crescita italiana dallo zerovirgola allo 1,5% con promessa di ulteriore espansione.
Prima, tuttavia, va sottolineata la gravità della situazione nei prossimi sei mesi, evidenziata in tutti gli scenari, che è appesantita da un gap di reattività integrata dell’Ue nel calmierare i devastanti prezzi correnti delle bollette: l’assenza di uno scudo, cioè di un fondo a debito comune con forma a “fisarmonica”, cioè caricabile in base al fabbisogno fino ad un limite di 1.500 miliardi (ma sufficienti 800 sul piano paneuropeo) simile a quello pandemico – qui invocato fin dalla primavera scorsa – ha scaricato lo stress sui bilanci nazionali, con il problema che quello italiano ha meno “spazio fiscale” disponibile a causa dell’enorme debito, fatto ripetutamente ricordato all’Italia dall’Ue. I motivi per questa mancanza sono molteplici: la paura (esagerata nello specifico perché è del tipo “da offerta” e non da surriscaldamento dell’economia) di aumentare l’inflazione invece di ridurla; la difficoltà di convincere gli elettorati di molte nazioni europee di condividere debito, ecc. Così alla fine tutte le nazioni, compresa la Germania, spenderanno di più in deficit nazionale di quanto sarebbe stato possibile con il debito comune per compensare gli extracosti. Preso atto dell’incapacità dell’Ue di reagire come soggetto integrato di politica fiscale, il governo Draghi ha tentato di proporre dalla primavera scorsa un tetto al prezzo del gas. Ma tale misura è apparsa subito poco convincente perché in effetti lo era: alzava il rischio di scarsità dell’energia importata. Forse il governo Draghi ha insistito in questo irrealismo per ottenere qualcosa altro, per esempio avere un’altra tranche del Pnrr nonostante le carenze sul piano dell’esecuzione, ha capeggiato, insieme alla Francia, 15 nazioni nella richiesta di un tetto, ma l’iniziativa è stata un flop. Alla fine l’Ue qualcosa farà, per esempio azioni politiche per calmierare i costi di importazione da alleati, freni alla speculazione che gonfiano i prezzi energetici, ecc., ma troppo tardi per evitare che l’Italia si trovi esposta a costi di compensazione che eccedono il suo spazio fiscale.
Infatti il punto critico dello scenario migliore è che servirebbero (stima preliminare) circa 60 miliardi di spesa straordinaria compensativa a fronte di 40 disponibili senza fare troppo debito nel periodo più critico di 6 mesi + 3 di “coda”. Chi scrive ha assunto che con acrobazie il governo potrà riuscire ad avvicinarsi al pareggio tra spesa e costi straordinari compensativi. E l’eventuale gap? Riallocazioni troppo pesanti dei capitoli di spesa e non preparate con la dovuta calma, creerebbero tensioni sociali. Risparmi forzati “oltre soglia” di energia porterebbero a dover scegliere se darne di più alle unità produttive o alle famiglie: meglio evitare. Quindi anche nello scenario migliore va valutato un indebitamento, ma minimo e concordato con l’Ue, non per sudditanza, ma perché il mercato valuta l’affidabilità dell’Italia in relazione a quanto “ombrello” abbia dall’Ue stessa. Comunque è una situazione gestibile anche se richiede un’attenzione estrema da parte del nuovo governo.
Sarebbe meglio gestibile sul piano della crescita e dell’eventualità di un piccolo indebitamento se la Bce non esagerasse con un inutile rialzo eccessivo dei tassi. Chi scrive ha molto apprezzato la critica fatta da Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, alla postura della Bce di alzare troppo i tassi. Tale critica è da settimane nella bocca degli attori di mercato che ritengono inutilmente pericolosa la stretta monetaria (tightening) sia della Fed sia della Bce che la insegue con evidente confusione. In conclusione, lo scenario migliore si realizzerà non solo se il nuovo governo italiano sarà attentissimo e lucido, probabile, ma se lo saranno anche Bce e Ue.